PALERMO – Un imputato non pentito, Camillo Graziano, 49 anni, ha confermato il racconto del collaboratore di giustizia Vito Galatolo, sul progetto di attentato contro il pm Nino Di Matteo e contro alcuni collaboranti, da colpire tutti a Roma. Intervenendo in aula al termine dell’interrogatorio di Galatolo, Graziano ha reso spontanee dichiarazioni al processo ‘Apocalisse’, in corso davanti alla quarta sezione del tribunale di Palermo: “Non fui io a prendere, di mia iniziativa, i contatti con il pentito Salvatore Cucuzza (che avrebbe dovuto fare da basista per gli attentati, ndr). La richiesta parte da lui (Vito Galatolo, ndr), perche’ quella e’ la verita’. La richiesta parte solo ed esclusivamente da lui. E purtroppo non potevo, per paura e per timore, esimermi dal farlo. Quella e’ la verita’. Di questo ho parlato con i pm di Caltanissetta”, che indagano sui progetti di uccidere il pm palermitano. L’udienza si e’ tenuta in trasferta a Torino, per motivi di sicurezza, nei giorni scorsi, ma la notizia si e’ appresa soltanto adesso, dopo il deposito delle trascrizioni.
E’ la prima volta che al controverso racconto di Galatolo arriva una conferma da un ex presunto affiliato alla sua cosca, quella dell’Acquasanta: conferma rilevante, perche’ Graziano non collabora con i magistrati. Davanti al collegio presieduto da Vittorio Alcamo, il nipote del costruttore Vincenzo Graziano (l’uomo che, secondo Galatolo, avrebbe nascosto l’esplosivo per colpire Di Matteo) ha voluto “difendersi” dall’accusa di avere suggerito di utilizzare Cucuzza, pentito del clan di Porta Nuova, ma fino al momento della morte, avvenuta nel 2014, rimasto legato ai Graziano, con i quali aveva affari in comune. Proprio Cucuzza avrebbe dovuto dare indicazioni sui pentiti che vivono a Roma (e fra di loro Galatolo voleva colpire la propria sorella Giovanna, “onta” della famiglia) ma anche chiedere un interrogatorio al pm del processo sulla trattativa Stato-mafia: a causa delle condizioni di salute che poi ne provocarono la morte, il pentito avrebbe potuto ricevere il magistrato a casa e li’ si sarebbe potuto organizzare l’attentato, utilizzando armi da guerra che Camillo Graziano, abitante a Udine, avrebbe comprato in Slovenia e tenuto nascoste in Friuli. “Quella di colpire il magistrato nella Capitale – ha spiegato Galatolo – era la terza opzione, dopo il furgone imbottito di tritolo con cui volevamo colpirlo al palazzo di giustizia e dopo l’agguato nella localita’ di villeggiatura frequentata da Di Matteo, nell’hinterland palermitano”. A chiedere di uccidere il pm, “che si stava spingendo troppo oltre”, sarebbe stato il superlatitante Matteo Messina Denaro, chiamato confidenzialmente da Galatolo “il nostro fratellone”