CALTANISSETTA – Quando in una Terra come la nostra, ringraziamo e consideriamo un Dio, chi ci ha tolto tutto, sol perché, in un frammisto di distratta misericordia, forse stordito dal nostro grido di dolore, rinuncia a toglierci l’ultimo tozzo di pane ed un bicchier d’acqua;
Quando in una Terra come la nostra l’apparenza non ne sostituisce solo il significante della sostanza, ma persino il referente fisico;
Quando in una Terra come la nostra il chiacchiericcio di un’“elite” vacua ed obsolescente, viene descritto come la più dinamica entropia universale;
Quando in una Terra come la nostra i figli ci osservano con distaccato senso di rassegnazione;
Allora può succedere quello a cui abbiamo assistito oggi nella sede del civico consesso cittadino:
La classe dirigente di una comunità, riunita in pompa magna sotto l’impulso del proprio massimo rappresentante, chiede, a chi ce li tolti (e quindi a se stessa), i 400.000 denari del consorzio universitario, per sentirsi rispondere, con lo stesso animo di chi sta facendo un dono meraviglioso ed inaspettato che il “maltolto” è già li’ per essere restituito.
Erano seduti tutti lì, presidente della regione, assessori regionali, sindaco con giunta e consiglieri parlamentari regionali e nazionali, segretari di partito, e chi più ne ha più ne metta.
Tutti compiaciuti di essere insieme, e di essere “elite”, in una organizzazione che di improvvisato non ha avuto solo la gestione, ma la stessa idea progettuale, in un consesso interrotto dalle voci fuori dal coro di qualche contestatore che ha fiutato l’impresa.
Che spettacolo paradossale. Una vera maldestra e grottesca parodia della sindrome di stoccolma istituzionale, dove i ruoli di vittima e carnefice si sono più che mai confusi, dove il complesso di inferiorità di una comunità porta ormai a confondere la parola “salvare” con il concetto di “creare” e “programmare”.
A Caltanissetta dovevamo salvare il distretto militare, dobbiamo salvare la corte di appello, dobbiamo salvare la prefettura, e chissà, forse anche la questura, ed oggi il consorzio universitario, estremo surrogato di un’occasione mancata, di una delle tante possibilità di essere quello che avremmo sempre voluto, ma che non abbiamo mai avuto il coraggio di chiedere.
Ma salvare da chi, o da che cosa?
Se con uno sforzo di orgoglio e razionalità riuscissimo, prima di tutto, a salvare noi stessi e le nostre coscienze, forse riusciremmo, non solo a capire, ma anche finalmente ad urlare, che il chi o il che cosa dal quale dovremmo salvarci, è seduto proprio tra gli scranni dei sedicenti “salvatori”, ed è anche tra quanti coloro hanno imbastito la odierna consunta replica di una commedia patetica, ed oggi, dopo averci proditoriamente deluso, ci rassicura e ci conforta con la spietatezza di una carezza offerta controvoglia.
Per fortuna non abbiamo ancora consumato il coraggio e l’orgoglio dei nostri figli, unici grandi e consapevoli assenti dell’avvenimento odierno.
Perché i ragazzi, gli studenti del consorzio universitario nisseno, l’hanno capito da tempo l’epilogo della farsa, ed a loro non è utile fare passerelle dimostrative. Hanno preferito studiare, o magari solo sognare all’aria aperta di una giornata pseudo primaverile, che la loro Terra, domani sarà rappresentata da persone giovani nello spirito, creative, essenziali.
Hanno capito da tempo che non tornavano i conti di un pomeriggio di gennaio, dove Autorità Politiche di ogni dove, lautamente retribuite, risolvendo “l’inconveniente” con una telefonata, se non 400.000 denari, ci avrebbero fatto risparmiare una cifra molto prossima, con buona pace di Tutti e del Consorzio Universitario che se ne sarebbe potuto beneficiare, ma con funesta rinuncia della pregustata passerella sapientemente progettata.
E certamente hanno riconosciuto chi sta dietro le maschere, chi è incapace di creare il nuovo, chi distrugge il “vecchio”, per poi darsi lustro inscenando di ricostruirlo.