CALTANISSETTA – L’Eni è comparso sul banco degli imputati, oggi, nel tribunale di Gela, alla prima udienza del processo che vede accusato l’ente “dell’inquinamento ambientale prodotto, in oltre 50 anni di attività, dal suo petrolchimico, con conseguenze pesanti sull’ecosistema e sulle persone”, come sostengono i pm. A chiederne la condanna sono le famiglie di una trentina di bambini nati malformati, che ritengono l’ente petrolifero di Stato responsabile delle patologie genetiche dei loro figli. Ne è convinta anche l’amministrazione comunale di Gela che, a nome della città, si è costituita parte civile, chiedendo la creazione di un primo fondo risarcitorio di 80 milioni di euro. Cinque periti nominati dal tribunale di Gela, hanno sancito il nesso di causalità esistente tra inquinamento industriale e malformazioni neonatali riscontrate sui bambini gelesi (spina bifida, palatoschisi, ecc.), e hanno parlato di “disastro ambientale permanente” i cui effetti nocivi giungerebbero all’uomo attraverso la catena alimentare. L’avvocato dei ricorrenti, Giuseppe Fontanella, ha chiesto, con un ricorso cautelare d’urgenza firmato da 500 persone, il sequestro e il blocco dei pozzi petroliferi e degli impianti ancora in esercizio nella raffineria di Gela. Ma i legali dell’Eni respingono ogni accusa, ribadiscono che l’azienda ha le carte in regola, avendo rispettato 110 prescrizioni delle 112 imposte dal ministero per l’ambiente, e ammoniscono che “le richieste della controparte rischiano di far saltare il protocollo d’intesa per il salvataggio della raffineria di Gela”.
di Redazione 1
Mer, 27/11/2024 - 07:19