Secondo le tesi della Procura e della Procura generale nissene, i nuovi imputati avrebbero fruito di un presunto depistaggio, che avrebbe coinvolto poliziotti, Servizi segreti, mafiosi e falsi pentiti come Scarantino (che aveva ammesso anche vent’anni fa, di avere detto bugie, ma i magistrati avevano creduto alle accuse e non alle ritrattazioni) e, appunto, Salvatore Candura. In base alla versione da lui stesso resa ai pm, Candura avrebbe consegnato a Scarantino la 126 rubata, che sarebbe poi dovuta servire per l’attentato di via D’Amelio contro il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti di scorta. Questa versione, nonostante l’alternanza di accuse e smentite da parte di Scarantino, ha retto fino in Cassazione, per poi essere contraddetta dal pentito di Brancaccio Gaspare Spatuzza, che ha escluso del tutto il coinvolgimento di Candura e Scarantino e puntato il dito verso il gruppo mafioso capeggiato dai fratelli Filippo e Giuseppe Graviano. A quel punto si e’ aperto il giudizio di revisione, in corso a Catania e sospeso in attesa della sentenza di Caltanissetta del Borsellino quater. Candura, difeso dall’avvocato Rosa Mangiapane, era accusato di avere calunniato, coinvolgendolo nelle indagini, Salvatore Tomaselli, poi condannato a nove anni per mafia. Nonostante due sentenze di colpevolezza, emesse dal Gup e dalla Corte d’assise d’appello di Caltanissetta, il legale ha dimostrato in Cassazione che Tomaselli, mai accusato della strage, fu condannato per fatti diversi, che avrebbero provato la sua appartenenza a Cosa nostra. Le accuse contro di lui, mosse da Candura in relazione alla strage del 19 luglio 1992, erano generiche e non tali da coinvolgerlo. Cosa che in effetti non avvenne. In queste condizioni e’ caduta anche la calunnia