PALERMO – Si insegue il depistaggio, ma intanto cade in Cassazione la costruzione basata su una delle pedine fondamentali della presunta deviazione delle indagini sulla strage di via D’Amelio: la Suprema Corte ha infatti annullato senza rinvio la condanna a 9 anni di Salvatore Candura, uno degli pseudo pentiti che orientarono l’inchiesta nella direzione sbagliata, verso il gruppo mafioso della Guadagna e di Santa Maria di Gesu’, anziche’ verso il clan di Brancaccio. Candura, giudicato assieme al pentito Fabio Tranchina, in abbreviato, e’ stato cosi’ assolto perche’ il fatto non sussiste. Un esito che interessa l’operato dei giudici di merito di Caltanissetta. Il pentito-collaborante era stato giudicato infatti nell’ambito del cosiddetto Borsellino quater, il processo “riparatore” (ancora in corso col rito ordinario, in corte d’assise) che dovrebbe riabilitare i sette ergastolani “vittime” delle accuse del falso pentito Vincenzo Scarantino: loro hanno scontato diciotto anni di carcere e poi sono stati liberati, in attesa che si accertino le responsabilita’, vere o presunte, degli imputati del quater.
Secondo le tesi della Procura e della Procura generale nissene, i nuovi imputati avrebbero fruito di un presunto depistaggio, che avrebbe coinvolto poliziotti, Servizi segreti, mafiosi e falsi pentiti come Scarantino (che aveva ammesso anche vent’anni fa, di avere detto bugie, ma i magistrati avevano creduto alle accuse e non alle ritrattazioni) e, appunto, Salvatore Candura. In base alla versione da lui stesso resa ai pm, Candura avrebbe consegnato a Scarantino la 126 rubata, che sarebbe poi dovuta servire per l’attentato di via D’Amelio contro il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti di scorta. Questa versione, nonostante l’alternanza di accuse e smentite da parte di Scarantino, ha retto fino in Cassazione, per poi essere contraddetta dal pentito di Brancaccio Gaspare Spatuzza, che ha escluso del tutto il coinvolgimento di Candura e Scarantino e puntato il dito verso il gruppo mafioso capeggiato dai fratelli Filippo e Giuseppe Graviano. A quel punto si e’ aperto il giudizio di revisione, in corso a Catania e sospeso in attesa della sentenza di Caltanissetta del Borsellino quater. Candura, difeso dall’avvocato Rosa Mangiapane, era accusato di avere calunniato, coinvolgendolo nelle indagini, Salvatore Tomaselli, poi condannato a nove anni per mafia. Nonostante due sentenze di colpevolezza, emesse dal Gup e dalla Corte d’assise d’appello di Caltanissetta, il legale ha dimostrato in Cassazione che Tomaselli, mai accusato della strage, fu condannato per fatti diversi, che avrebbero provato la sua appartenenza a Cosa nostra. Le accuse contro di lui, mosse da Candura in relazione alla strage del 19 luglio 1992, erano generiche e non tali da coinvolgerlo. Cosa che in effetti non avvenne. In queste condizioni e’ caduta anche la calunnia