CALTANISSETTA – Non so perché spesso – e specie in queste ultime settimane – assistendo allo stato comatoso in cui versa la Sicilia, mi vengono in mente gli anni del suo impegno. Ricordo i dibattiti nelle scuole e nel mondo associati
Oggi, rispetto ad allora, la Sicilia non va più difesa solo dal malaffare mafioso, ma soprattutto da certi suoi politici ed amministratori, maggiori artefici dell’ormai certificata decomposizione in atto, come ci indicano gli ultimi dati Svimez. Tassi di disoccupazione al 50%, servizi, sanità, viabilità allo sfascio, lavori pubblici fermi (circa 500 grandi opere, per un importo di quasi 4 miliardi di euro), tassi di crescita e di nascite a zero, ripresa dei flussi migratori, risorse naturali e culturali abbandonate a se stesse; che non siamo in grado nemmeno di promuovere a fini turistici. Un museo di rilievo come quello archeologico di Caltanissetta, ad esempio, per il 2014, fa un incasso di sole 1.000 euro, ma mantiene una trentina di dipendenti, tra dirigenti, impiegati e custodi. Stessa cosa si potrebbe dire, per quel che riguarda la mia realtà, del Museo delle Solfare tra Sommatino e Riesi.
A fronte di una Sicilia di inefficienze vi è invece una classe politica, quella all’Ars e in parlamento, paragonabile alle peggiori corti europee dell’800, dedita solo ai propri privilegi di casta. Seguono un nugolo di amministratori, in molti casi, veri e propri mestieranti della politica, che ne hanno fatto la propria sola ed unica occupazione e che pur di continuare a mantenere le loro prebende – facilitati ahimè da una giustizia amministrativa assente – hanno reso i Comuni, spesso, sedi di torbidità amministrativa.
Sul versante regionale, dopo il finimondo del “caso Crocetta” – al quale non va contestata tanto l’amicizia col discusso dott. Tutino, ma il fallimento totale della sua rivoluzione della legalità, della speranza di cambiamento – egli è ormai ridotto a personaggio macchiettistico, tenuto in “vita” solo dai gruppi all’Ars per non andare a casa. Della sua vicenda ormai non si parla più. Qui, in Sicilia, tutto si aggiusta, si equilibra naturalmente, senza intervento di nessuna forza esterna. Tutto sembra complicato, eppure tutto si risolve sempre in maniera semplice, senza alcun sconquasso, anzi senza alcuna destabilizzazione; quasi nell’immobilismo. Si perché questa è in effetti una terra immobile. Ai 90 parlamentari regionali (molti dei quali inquisiti), ad esempio, interessa solo salvare i loro privilegi di casta. Qui la classe politica gioca l’eterno ruolo dell’opportunismo. Preferisce aspettare, annusare, schierandosi sempre dalla parte giusta, quella consociativa della conservazione che livella sempre le differenze.
Si tratta di un processo degenerativo della politica che ha ormai totalmente perso la sua funzione di proposta, progetto, riscatto di una terra. Un modo di fare politica che invece di creare le condizioni di crescita, di tutela dei diritti collettivi, di cittadinanza, di lavoro, fa l’esatto opposto (vedi il caso Termini Imerese).
Questa è la Sicilia. Una terra dove non si vedono mai i confini delle cose, dove tutto sfuma e si perde nei silenzi e nel gioco delle ombre. Dove non si capisce mai se i personaggi sono reali o da copione teatrale.
Ed in tutto questo i siciliani che fanno? Niente. Il loro è un silenzio complice, lontani dalle battaglie che i loro padri, contadini e zolfatari, avevano combattuto per una Sicilia migliore. Privi ormai di una “civitas”, del sentirsi soggetti e cittadini di diritto. In questa pratica diffusissima del silenzio, tutto ciò che accade ormai nei parlamenti o nei municipi, non crea più nessun effetto nella pubblica opinione, stordita dalla più totale apatia ed accettazione. “Contro quello che siamo diventati bisognerebbe combattere”, diceva qualcuno a proposito di noi siciliani.
Scriveva il giornalista Nuccio Vara in un suo bel libro di qualche anno fa “Sotto un cielo implacabile”, che la smemoratezza in Sicilia non ha ormai né limiti né confini. Passa tutto al tritacarne. Punta ad annullare, a cancellare, ad eliminare conflitti vecchi e nuovi. Cerca un indistinto nella cui opacità inabissare la sua memoria e dove “nei suoi fondali tutto arrugginisce”. E’ come una sorta di nuovo Titanic la cui maestosità di cartapesta andrebbe lasciata per sempre sott’acqua in balia delle correnti e della salsedine.
Sarebbe davvero interessante sapere che cosa ne pensa Lei dei fatti di questa nostra terra, di cui sò continua sempre a seguirne da lontano le vicende; parlarne insieme, con la sua solita calma, pacatezza, raffinatezza di perfetto galantuomo piemontese d’altri tempi.
Lei oggi è in pensione ed ha più tempo per sé e la sua famiglia. Io sarò nella sua Torino nelle prossime e settimane e spero mi conceda di poterLa incontrare ancora per una chiacchierata, come ai tempi dei dibattiti e delle discussioni. Chissà, magari poi darne conto ai nostri lettori de Il Fatto Nisseno.
Filippo Falcone