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Le riflessioni di Richelieu: “La rivoluzione è finita”

Redazione

Le riflessioni di Richelieu: “La rivoluzione è finita”

Sab, 25/07/2015 - 16:55

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imageCALTANISSETTA – E’ finita così, la rivoluzione di Rosario Crocetta, nell’Aula del parlamento siciliano, in una afosa giornata estiva. E’ finita con l’appello ai 90 deputati regionali a sfiduciarlo in Parlamento, se ne hanno il coraggio, perché Lui, da solo, non se ne sarebbe andato. Chiedendo peraltro due mesetti di tempo ulteriore (luglio e agosto) per “completare le riforme e consolidare il bilancio regionale” (!?).
E’ come chiedere al tacchino di organizzare il cenone di Capodanno: i 90 deputati sanno bene che sfiduciare il Presidente della Regione implica lo scioglimento dell’Assemblea ed il ritorno al voto. Con l’aggravante che con le prossime elezioni regionali si eleggeranno non più 90 ma 70 deputati: un bel taglio del 20%. Una delle pochissime riforme volute da Crocetta, probabilmente proprio per blindare il suo governo per tutta la legislatura.
manifesto_crocetta3Peccato! Suonava così bene, sui manifestoni elettorali (6 metri x 3) di quando Saro si era candidato alla Presidenza della Regione: “La Rivoluzione è già cominciata!”
Qualcuno ci aveva creduto; dopo i governi di Cuffaro e Lombardo, il vento, il ciclone della legalità avrebbero finalmente spazzato via da Palazzo d’Orleans affari e misfatti, travolgendo le secolari ragnatele mafiose, i legami inconfessabili, i condizionamenti interessati, e la Sicilia, finalmente liberata dalle sue catene, avrebbe potuto iniziare la marcia trionfale del suo sviluppo e del suo riscatto.
Un modello di rivoluzione che si fa Stato c’era, e c’è ancora nel mondo: a Cuba da 56 anni Fidel Castro e i suoi successori hanno cacciato il capitalismo, i governi-fantoccio al servizio degli americani, instaurato un governo che aveva nel popolo il suo riferimento e assicurato pane, lavoro, scuola e sanità a tutti gli abitanti. Diritti umani a parte.
Certo, Fidel aveva avuto al suo fianco Che Guevara come stratega, Rosario si è dovuto accontentare di Totò Cardinale da Mussomeli. Però lui aveva dalla sua la task-force e i rifornimenti della Confindustria siciliana (un po’ strano veramente, per una rivoluzione…) e quella mente raffinatissima del Senatore Lumia che teneva i rapporti con i più alti livelli istituzionali. Eppure…
Certo, alla rivoluzione di Rosario è mancato un attore fondamentale, anzi, il protagonista di ogni rivoluzione che si rispetti: il popolo! Il popolo siciliano, le masse popolari, i lavoratori e i disoccupati, tutti quelli cioè che da una rivoluzione della legalità e della trasparenza, capace di abbattere le ingiustizie e i privilegi, avrebbero avuto tanto da guadagnare.
scritte-no-muos-contro-crocettaE invece (come mai?) Rosario il popolo se lo è trovato sempre dalla parte opposta: i pacifisti NO-MUOS, (il mostro militare americano piazzato proprio nel suo collegio elettorale), gli operatori della formazione professionale, bloccata senza prospettive, i giovani disoccupati del “clik-day” (che è costato l’assessorato alla soave Nelli Scilabra), i lavoratori delle Province, abolite sulla carta e oggi a rischio di “resurrezione elettorale” se non si approva la riforma vera, gli utenti della Sanità siciliana (a parte quelli operati da Tutino a spese del Servizio Sanitario), storditi da un turbine di nomine di manager e primari inversamente proporzionale alla qualità dei servizi offerti. Anche in questo Caltanissetta ha il suo piccolo primato: con legge speciale abbiamo l’on. Lomaglio alla direzione del CEFPAS che veglia sulle sorti della formazione sanitaria nel Mediterraneo.
RobespierrePovero Rosario, pensava a Robespierre ma non aveva nemmeno la ghigliottina contro i nemici della sua rivoluzione! E ora anche i sanculotti più fedeli si stanno defilando alla chetichella. E dire che, all’inizio, aveva avuto tanto credito mediatico, a livello nazionale: ospite nei talk-show televisivi, efficace nel suo eloquio pittoresco, nel suo gesticolare esasperato; una specie di Renzi sudamericano.
Ma la televisione non basta a fare una rivoluzione, e nemmeno ad annunciarla. Una rivoluzione si fa con le persone, realizzando i loro diritti, aggregando i loro interessi legittimi, organizzando la loro mobilitazione per la costruzione, condivisa, delle risposte alternative all’organizzazione della società così com’è. Dialogando con i movimenti, con i corpi intermedi della società, con le professioni, le competenze. Rendendo autentica la democrazia, la partecipazione, l’informazione: (azzerare tutto l’Ufficio Stampa senza un’alternativa efficace e capillare, per esempio, non è stata una trovata geniale).
Somigliava più ad un caudillo del Sud America che a un rivoluzionario del terzo millennio, Ugo Chavez della Bolivia, al massimo. Per la terra di Federico II è un po’ poco, non ci siamo.
E infatti, (mentre si alternavano in un minuetto surreale 37 assessori in 33 mesi) sono cominciati a trillare i campanelli d’allarme: Gela e Mussomeli, le roccaforti dei capisaldi del sistema, perdute ignominiosamente contro degli “homines novi” sconosciuti ed inesperti. Poi le indagini giudiziarie ai piani alti della comitiva imprenditoriale, ancora misteriose e per questo più inquietanti. Ma quel fronte ormai è perduto: Miss Confindustria, Linda Vancheri, lascia il suo assessorato alle attività produttive con due righe di “motivi personali”. E poi la bomba dell’intercettazione fantasma, e lo svelamento del verminaio di rapporti amical-politici con i padroni della Sanità siciliana che di Rosario avevano fatto il loro esecutore condominiale, fino a chiedere di “fare fuori” Lucia Borsellino. E per questo la Sicilia, tornata irredimibile nell’opinione comune, è tornata sulle prime pagine dei media nazionali. Vergognosamente.
Dopo 24 ore di delirio e di vaneggiamento mediatico: golpe, suicidio, complotto mafioso, attentato alla democrazia, poteri forti, servizi segreti evocati davanti alle telecamere (come mai la CIA no?), l’epilogo più scontato, nella migliore tradizione dorotea (dire democristiana sarebbe troppo onore): l’appello ai 90 “onorevoli” a sfiduciarlo in Parlamento, (lasciando automaticamente quasi 20.000euro al mese (ventimila), per tornare a votare, ridando la parola al popolo sovrano.
La risposta era scontata, tant’è vero che di dimissioni non se ne parla più, e l’acqua si è richiusa velocissimamente sul sasso gettato nello stagno. Come se non fosse successo niente.
E’ cominciata la seconda fase, quella della rivoluzione di Palazzo. Nella storia si chiamavano congiure. Persino golpe, ma non esageriamo.

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