Di seguito il comunicato stampa della questura di Caltanissetta
I soggetti tratti in arresto sono:
GERBINO Giacomo, nato a Vittoria (RG) il 08.09.1973;
RADICIA Antonio, nato a Gela (CL) il 10.07.1985;
CASCIANA Ivan Angelo, nato a Gela (CL) il 15.09.1989
TRESPOLI Domenico, nato a Gela il 01.06.1984;
MANGIAMELI Giuseppe Andrea, nato a Lamezia Terme il 24.03.1976;
PLACENTI Giuseppe, nato a Gela il 16.8.1988;
LONGO Valerio, nato a Ilden (D) il 19.4.1972;
COSENTINO Roberto, nato a Catania il 18.8.1972;
SCHEMBRI Giuseppe, nato a Gela (CL) il 13.06.1981.
Quelli colpiti da provvedimento restrittivo, attualmente in carcere sono:
GERBINO Massimo, nato a Vittoria (RG) il 17.03.1979, in atto detenuto;
NICOSIA Baldassare, inteso Aldo, nato a Gela il 12.2.1983, in atto detenuto;
PARDO Davide, nato a Gela il 1.9.1981, in atto detenuto;
PARDO Alessandro, nato a Gela il 1.9.1981, in atto detenuto;
FLORIO Vincenzo, nato a Catania il 20.5.1977, in atto detenuto;
Sono in corso attive ricerche finalizzate alla cattura di altri tre soggetti attualmente irreperibili.
Dopo la morte di Daniele Emmanuello nel dicembre del 2007, l’aliquota Rinzivillo era ormai predominante nella famiglia di Gela e Crocifisso Rinzivillo, fratello di Antonio, oggi detenuto e che fu rappresentante del mandamento mafioso di Gela prima dell’avvento di Emmanuello Daniele, aveva assunto una rilevante posizione di potere.
Venne catturato anche Rosario Vizzini, rinzivilliano di ferro che, dopo l’arresto, decise di avviare un percorso collaborativo, svelando importanti retroscena secondo cui Crocifisso Rinzivillo aveva in animo di scatenare un nuovo, definitivo, conflitto contro la fazione degli Emmanuello e, per tale ambizioso progetto, Crocifisso Rinzivillo riponeva ogni speranza sulla prossima scarcerazione di un uomo d’onore da sempre legato al gruppo ed a Giuseppe MADONIA, quale era Alessandro BARBERI, a cui affidare il compito di rifondare la provincia nissena di cosa nostra, decretando la definitiva sconfitta e scomparsa del clan Emmanuello dal panorama di cosa nostra.
Emergeva subito che i personaggi di punta della consorteria mafiosa, in quota Rinzivillo, erano Massimo Gerbino e Gaetano Smecca, il primo con ruolo più spiccatamente operativo, occupandosi del traffico della droga e delle estorsioni, il secondo con ruolo più “meditativo”, tra altro adoperandosi per sedare ed allentare eventuali tensioni che permeavano il complesso e variegato sodalizio mafioso gelese.
Ed altrettanto, le indagini risaltavano il protagonismo criminale dei fratelli Alessandro, Davide e Rocco Pardo (Alessandro poi arrestato nell’inchiesta “Tetragona”), nonché l’importante ruolo di Roberto Di Stefano, tutti sempre in quota Rinzivillo.
Emergeva, infatti, che nell’anno 2012 Roberto Di Stefano, da sempre appartenente all’aliquota dei Rinzivillo, in procinto di tornare in libertà dopo un lungo periodo di detenzione, aveva ricevuto l’incarico di riorganizzare operativamente cosa nostra gelese per ricomporne le tensioni tra le due anime, gli Emmanuello ed i Rinzivillo.
Così l’inchiesta “monitorava” il protagonismo di Roberto Di Stefano, una volta ottenuta la libertà il 14 febbraio 2012, registrando che, effettivamente ed in breve, assumeva le redini della consorteria mafiosa gelese, sia occupandosi della gestione dei traffici illeciti in essere sempre più avvicinandosi ad Alessandro Barberi, uomo d’onore della prim’ora, che aveva in animo di procedere alla rifondazione della provincia mafiosa nissena e di conferire proprio al Di Stefano il ruolo di reggente della famiglia gelese.
Ma i piani venivano scombinati dalle incalzanti indagini, cosicché lo spiccato attivo protagonismo di Alessandro Barberi ne impose la cattura per associazione mafiosa ed estorsione nell’ambito della c.d. “Operazione Fenice” condotta da questa Squadra Mobile nel gennaio 2014.
Tuttavia, nel maggio 2014 il Di Stefano prese la decisione di interrompere la collaborazione con l’A.G. e fu, dunque, necessario intervenire, chiedendo ed ottenendo l’adozione della misura cautelare nei confronti del Di Stefano, di Pardo Davide e dell’imprenditore Cassarà Nicola Piero, accusati a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione, traffico di sostanze stupefacenti, nell’ambito dell’operazione di polizia denominata “Fabula” e condotta sempre da questa Squadra Mobile.
La presente attività di indagine, coprendo un vasto arco temporale, ha permesso di raccogliere importanti elementi probatori a carico di uomini di punta e di nuove leve di cosa nostra gelese – gruppo Rinzivillo, quali Smecca Gaetano, Gerbino Massimo, Pardo Alessandro, Pardo Davide e Radicia Antonio, Roberto Di Stefano (tutti – tranne l’odierno arrestato Smecca – già stati destinatari di provvedimenti cautelari proprio per i delitti accertati nel corso delle indagini) in grado di impadronirsi del territorio e di avere rapporti con altre organizzazioni mafiose di altre province.
L’associazione oggetto di indagine, favorita dalle condizioni ambientali, oltre a controllare capillarmente il territorio, si è dedicata alle attività “tipiche” di un’associazione mafiosa che assicurano facili guadagni a danno di una società civile “castrata” nella sua crescita proprio per il permanente imporsi di attività illecite quali estorsioni e quali il traffico di droga.
Da quanto acquisito dalle investigazioni veniva ulteriore conferma che il principale canale di finanziamento di cosa nostra era rappresentato dal commercio della sostanza stupefacente, cui erano dediti Massimo Gerbino, con ruolo apicale, nonché Davide Pardo, Giuseppe Schembri e gli altri sodali a loro sottoposti.
In tale settore era il Radicia, per come emerso dalle indagini, a gestire sul territorio gelese il traffico e lo spaccio di sostanze stupefacenti insieme al suo capo Gerbino Massimo, e agli altri sodali Schembri Giuseppe, Mangiameli Andrea, Nicosia Baldassare, Domicoli Giuseppe, Casciana Ivan ed altri.
In particolare, la consorteria mafiosa dei Rinzivillo prediligeva un canale di rifornimento catanese. Infatti le attività info-investigative e le indagini tecniche davano contezza del fatto che cosa nostra gelese avesse stretto alleanze, anche per il traffico di droga, con clan mafiosi operanti nel catanese, legati alle consorterie dei “Carcagnusi” e dei “Laudani-Cappello”, storicamente legati alla famiglia Santapaola, i quali operano nell’hinterland catanese.
L’alleanza con i clan mafiosi catanesi emergeva incontestabilmente nel corso di una conversazione tra il Pardo Davide e suo fratello Alessandro, nella quale il Pardo Davide raccontava di essere stato a Catania ad una riunione di mafia, nella quale, per poter fare affari con i mafiosi di Catania che si erano presentati come i “Carcagnusi”, si era dovuto accreditare presentandosi loro come emissario dei Rinzivillo di Gela.
A parte il canale catanese, nelle complessive indagini si raccoglievano anche prove concrete in ordine a singoli viaggi tra il Nord ed il Sud d’Italia, finalizzati al procacciamento di consistenti quantitativi di stupefacenti.
Attività di riscontro permetteva di sequestrare, in più occasioni, a carico degli odierni indagati, sostanza stupefacente del tipo cocaina, hashish, marijuana, nonché strumenti necessari per il confezionamento delle dosi e ingenti somme di denaro.
Inoltre, incontrovertibili elementi probatori hanno consentito di appurare come questa organizzazione mafiosa avesse anche disponibilità di armi, più precisamente pistole, custodite illegalmente da diversi indagati. Una di queste pistole è stata anche sequestrata.
Le indagini, i servizi di osservazione e la registrazione dei colloqui hanno avuto, nel tempo, anche l’importante riscontro delle dichiarazioni da parte di più collaboratori di giustizia che, fino a poco tempo prima, erano organicamente inseriti nelle organizzazioni mafiose gelesi, che hanno permesso di completare il già pesante quadro indiziario a carico di gran parte degli odierni arrestati.
Le perquisizioni effettuate nella prime ore della mattina, con l’ausilio di 5 pattuglie del Reparto Prevenzione Crimine di Palermo e di un’Unità Cinofila della Polizia di Stato, davano esito positivo in quanto venivano sequestrati complessivamente 8.000,00 euro in banconote di piccolo taglio, ritenuti verosimilmente provento di spaccio; nonché 2 grammi di cocaina già suddivisa in dosi.