Sono passati 50 anni dalla prima e unica tournée italiana dei Beatles. Il pomeriggio del 24 giugno 1965 i quattro di Liverpool salirono sul palco allestito al centro del Velodromo Vigorelli a Milano. Suonarono per una mezz’oretta quel pomeriggio e un’altra mezz’ora la sera. Scaletta snella con 12 classici del loro repertorio live: Twist and shout, She’s a woman, I’m a loser, Can’t buy me love, Baby’s in black, I wanna be your man, A hard day’s night, Everybody’s trying to be my baby, Rock and roll music, I feel fine, Ticket to ride e Long tall Sally. Ai tempi usava così, niente a che vedere con i concerti da oltre due ore delle grandi star di oggi. La tournée proseguì a Genova (26 giugno, una esibizione pomeridiana e una serale ) e a Roma (27 e 28 giugno pomeridiano e serale).
A Milano i Beatles suonarono complessivamente per 26 mila persone: 7 mila il pomeriggio e 19 mila la sera, ben lontani dal tutto esaurito. Queste cifre raccontano la storia di un’accoglienza piuttosto tiepida per la band che la storia consacrerà come la numero 1 di tutti i tempi. Così tiepida da sembrare incredibile: possibile che nel 1965 il fenomeno Beatles non fosse ancora esploso? La risposta è no, non è possibile. Nel 1965 siamo in piena beatlemania e basta spulciare qualche dato per avere un’idea di quello che era già successo ed era pienamente in corso in quell’estate. I Fab four avevano alle spalle già 9 45 giri da numero 1, 4 album (Please please me, With the Beatles, A hard day’s night e Beatles for sale) e un film (A hard day’s night, Tutti per uno in Italia). Esattamente 10 giorni prima del Vigorelli, il 14 giugno, i quattro (soprattutto McCartney a onor del vero) incisero negli Abbey Road Studios la versione definitiva di Yesterday.
Da un anno e mezzo gli Stati Uniti erano ai loro piedi e dal 28 di agosto la marijuana era entrata nelle loro vite passando per la porta della suite all’ultimo piano del Delmonico Hotel su Park Avenue e 59th a New York, accompagnata per mano da Bob Dylan in visita privata. Il joint di sua maestà Dylan spingerà i 4 ad approfondire i loro studi sulla materia portandoli nella primavera del ’65 all’Lsd. Tutta questa sperimentazione chimica si rifletteva sulla loro produzione musicale: dal dicembre ’64 al dicembre ’65 i Beatles pubblicarono 3 album (Beatles for sale, Help e Rubber Soul) che segnarono un vero e proprio percorso evolutivo: alla fine di quell’anno la crisalide era diventata farfalla.
Di tutta questa esplosione nell’Italia del 1965 era arrivatasolo una lontana eco. Dal punto di vista musicale eravamo provincia dell’impero e non avevamo ancora gli strumenti per comprendere la rivoluzione che i Beatles stavano portando nel mondo della musica. Oltre a non fare il tutto esaurito i quattro – portati nel nostro Paese da Leo Wachter – conquistarono spazi sulle riviste dell’epoca più come fenomeno di costume che come musicisti visionari e anche le poche scene di beatlemania di cui si ha notizia furono più un esercizio di emulazione di ciò che accadeva al di là delle Alpi che altro. John, Paul, George e Ringo stessi nelle numerose biografie che sono uscite in questi cinquant’anni non hanno conservato grande memoria del loro passaggio italiano. Troppo ampia la distanza con quello che accadeva loro dovunque altrove nel mondo: il 15 agosto, poco più di un mese dopo, allo Shea Stadium di New York terranno il concerto più famoso della loro storia. Un anno esatto dopo, il 29 agosto del 1966, al Candlestick Park di San Francisco decideranno di chiudere definitivamente con l’attività on the road. Il loro album successivo (1 giugno 1967) è il Sgt. Pepper’s. (Fonte ansa.it)