ROMA – Toto’ Riina comunicava con alcuni detenuti, suoi uomini di fiducia, tramite ‘pizzini’. In uno dei bigliettini ricevuti in carcere, il capo dei corleonesi, scriveva che Giuseppe Marchese e il fratello Antonino erano sempre nel suo cuore. Riina invio’ poi ai due 50 mila euro, la meta’ dei quali Giuseppe Marchese investi’ nell’acquisto di un fabbricato. E’ stato lui stesso a riferirlo, deponendo nell’aula buker di Rebibbia nel processo Capaci bis davanti alla Corte d’assise di Caltanissetta, in trasferta a Roma. “Comunicavamo dal carcere -ha detto Marchese- attraverso dei bigliettini. Riina in questo modo ci impartiva i suoi ordini. Anche io, che ero al 41 bis a Pianosa, comunicavo con lui attraverso dei bigliettini”. Marchese ha anche detto che poco prima della sentenza del maxi processo obiettivo di Cosa nostra era smantellare il “teorema Buscetta”. In ogni caso, l’ultima parola,soprattutto sugli omicidi eccellenti, spettava sempre alla Commissione. La strategia di Riina era quella di inserire uomini di fiducia in ogni mandamento. Il processo riprendera’ martedì 28 aprile alle 9.30, con la deposizione dei collaboratori di giustizia Vito Lo Forte e Francesco Onorato.
In mattinata vi era stata la deposizione del collaboratore di giustizia Vincenzo Sinacori, ex capo del mandamento di Mazara del Vallo. Tra l’ottobre e il novembre del 1991 si tenne un summit di mafia a Castelvetrano (Trapani) e in in quella sede fu deciso di eliminare il giudice Giovanni Falcone, l’allora ministro Claudio Martelli, Maurizio Costanzo e altri giornalisti, come Andrea Barbato. All’incontro, ‘presieduto’ da Toto’ Riina, erano presenti anche Matteo Messina Denaro e i fratelli Gravano. Alle domande del Pm Stefano Luciani, il pentito non ha voluto chiarire perche’ dal ’96 ha iniziato la sua collaborazione con la giustizia: “Lo faccio per problemi miei che non intendo riferire. Non ho nessuna spiegazione da dare. Ho fatto questa scelta”, ha detto l’ex boss. Secondo Sinacori, alla riunione di Castelvetrano ne seguirono altre a Palermo, a casa di Salvatore Biondino, autista di Riina, e del fratello, per definire le modalita’ con cui uccidere le vittime designate. “Bisognava usare delle armi tradizionali. In caso di attentati bisognava chiedere il permesso a Riina. A Roma, arrivarono con un camion, armi ed esplosivo”. Falcone, nella versione del pentito, doveva essere ucciso prima degli altri “perche’ dopo il maxiprocesso era un nemico storico di Cosa nostra. Maurizio Costanzo perche’ durante le sue trasmissioni era contro Cosa nostra e Martelli perche’ era stato eletto con i voti dalla mafia e poi aveva girato le spalle a Cosa nostra. Il giudice Falcone doveva essere ammazzato in un ristorante che frequentava a Roma mentre Martelli in via Arenula, dove c’era la sede del ministero di Grazia e Giustizia”. Una volta a Roma, il commando inizio’ a fare dei sopralluoghi facendo pero’ confusione e scambiando il ristorante “Il Matriciano” per “La Carbonara”, dove Falcone era solito andare.