Caltanissetta, Borsellino quater. Galatolo: “La Barbera era sul libro paga dei Madonia”

CALTANISSETTA –  “Arnaldo La Barbera, capo della Squadra Mobile di Palermo nel periodo delle stragi, era sul libro paga dei Madonia”. Lo ha sostenuto il neo collaboratore di giustizia, Vito Galatolo, deponendo a Caltanissetta al “Borsellino quater”. In aula, Galatolo ha affermato che la circostanza gli fu riferita prima del dicembre del ’91 da suo zio, Giuseppe Galatolo, che all’epoca era ai domiciliari. “Piu’ volte La Barbera (deceduto da alcuni anni) e’ stato visto nella zona di via d’Amelio. E’ un particolare che spesso era oggetto di discussione con i Madonia”, ha dichiarato Galatolo, e ha detto ancora che Gaetano Scotto, boss dell’Arenella, era in contatto con i servizi segreti, che avevano un ufficio al Castello Utveggio. L’ex boss dell’Acquasanta ha parlato anche di un’attivita’ di posteggiatori che la sua famiglia gestiva nella zona in cui si verifico’ la strage di via D’Amelio. “Tutino, dopo Capaci, ci invitava a non frequentare quella zona, ma non sapevamo perche'”, ha dichiarato Galatolo, secondo cui suo suo padre, all’epoca della strage di via d’Amelio era detenuto all’Asinara e si arrabbio’ per l’attentato contro il giudice Borsellino. “A chi dobbiamo ringraziare, mi disse, per questo regalo?”, ha affermato Galatolo.

“Lo scorso novembre ho chiesto di parlare con il pubblico ministero Nino Di Matteo perche’ non volevo che si verificasse una catastrofe. Non appena ho saputo che Vincenzo Graziano era stato scarcerato, ho deciso di parlare con i magistrati e avvisarli perche’ sapevo che Graziano era in possesso di una gran quantita’ di esplosivo”. Lo ha detto il neo collaboratore di giustizia Vito Galatolo, deponendo a Caltanissetta al processo per la strage di via D’Amelio. Galatolo, interrogato dai Pm di Palermo che lo valutano attendibile, ha parlato del progetto di un attentato contro Nino Di Matteo, uno dei pm del processo per la trattativa Stato-mafia. L’input per il piano, secondo il pentito, sarebbe venuto dal boss latitante Matteo Messina Denaro.

 “Ho deciso di collaborare con la giustizia -ha detto ancora Galatolo- per dare un futuro ai miei figli. Ne ho uno di 18 mesi. La mia famiglia ha acconsentito alla mia collaborazione, in particolare mia moglie e i miei figli che sono la mia forza. Ho anche deciso di collaborare con i magistrati per evitare tutto cio’ che stava per succedere”. Il pentito ha sostenuto di non aver commesso omicidi: si trova in carcere con l’accusa di estorsione e associazione mafiosa. Galatolo non ha escluso che la sua famiglia, durante il periodo delle stragi possa avere avuto dei rapporti con i servizi segreti. “Al fondo Pipitone, dove abitavamo, si riuniva il gotha di Cosa nostra. A volte venivano anche altre persone. Per una famiglia mafiosa, mantenere contatti con uomini dei servizi segreti, significava ottenere una sorta di “protezione”. Potevamo ottenere informazioni su eventuali indagini, blitz, arresti prima che venissero compiuti”. Il processo e’ stato rinviato al prossimo 4 marzo alle 10,30.

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