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Mons. Giuseppe La Placa: “Educare all’amore di Dio”

Redazione

Mons. Giuseppe La Placa: “Educare all’amore di Dio”

Mar, 20/01/2015 - 00:58

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3.2Ma che c’entra Dio o la religione con lo Scoutismo? Può Dio, in qualche modo, entrarci con lo Scoutismo? Assolutamente no. Per un semplice motivo: perché è già dentro, perché è il fattore fondamentale che pervade lo Scoutismo e il Guidismo.

Con simili espressioni rispondeva Baden Powell, fondatore degli Scouts, a chi gli poneva le domande di cui sopra. Aggiungendo: «Non c’è un lato religioso del Movimento (cioè non è una cosa a parte). L’insieme di esso è basato sulla religione, cioè sulla presa di coscienza di Dio e sul suo servizio». Come a dire che natura, tecniche, route, marce e campi, a nient’altro tendono se non a «mettere i ragazzi a stretto contatto col loro scopo finale, che è quello di fare il loro dovere verso Dio, mediante il compimento dei loro doveri verso il prossimo». Sembra di riascoltare Colui che duemila anni fa aveva già detto che «amare Dio e amare il prossimo, è il primo e il più grande di tutti i comandamenti».

Educare alla conoscenza e all’amore di Dio, dunque, nello Scautismo, non è facoltativo. È addirittura un obbligo. Pena il tradimento dell’identità e della verità stessa del “grande gioco” inventato da BP. I membri del Movimento – spiegava San Giovanni Paolo II ai Dirigenti Internazionali dello Scoutismo nel 1990 – sono chiamati a sviluppare un ardente desiderio di costruire una cultura di buona volontà, ad imparare la franchezza e l’armonia nei rapporti umani, il rispetto dell’ambiente, l’accettazione dei doveri ma, soprattutto, sono chiamati ad imparare il dovere più fondamentale di tutti: l’amore per il Creatore e l’obbedienza alla sua volontà. Uno scoutismo senza Dio non sarebbe più quello di B.P., quello cioè che, oltre ad essere un “luogo” di vera crescita umana, è soprattutto il luogo di una proposta cristiana forte e di una vera e propria maturazione spirituale e morale.

3.1Il Capo scout, dunque, non svolge solo un compito educativo, ma è chiamato a rispondere ad una vera è propria “vocazione educativa”, sapendo che il servizio di educatore alla fede e all’amore di Dio, è per lui un’originale modalità di partecipazione attiva alla vita e alla missione della Chiesa. Non a quella universale e astratta, ma alla propria diocesi e alla comunità parrocchiale in cui si svolge il proprio cammino di fede. L’Agesci, infatti, non fa solo una generica scelta cristiana, ma si assume un preciso impegno all’interno della Chiesa: «I capi – si legge nel Patto Associativo – accolgono il messaggio di salvezza di Cristo e, in forza della loro vocazione battesimale, scelgono di farlo proprio nell’annuncio e nella testimonianza, secondo la fede che è loro donata da Dio». Un annuncio e una testimonianza di Cristo che, in modo esplicito e con il metodo e la spiritualità che caratterizzano lo Scautismo, comincia proprio dai ragazzi del gruppo, affinchè «si sentano personalmente interpellati da Dio e gli rispondano secondo coscienza» (PA).

Ecco perché il capo è chiamato, lui per primo, ad appropriarsi più intimamente e consapevolmente del dono della fede per testimoniarla attraverso l’esemplarità delle sue scelte e dei suoi comportamenti. Non è possibile, infatti, separare la proposta educativa rivolta ai ragazzi, anche nella sua dimensione di fede, dal cammino personale del capo in termini di auto educazione. E anche se dovesse essere allergico a tutto ciò che “odora” di Chiesa o di religione, l’educazione alla fede e all’amore di Dio non potrebbe né ignorarla, né trascurarla. Lo Scautismo, infatti, si propone la formazione integrale della persona umana finalizzando, fondamentalmente, l’itinerario di crescita all’interiorizzazione di valori profondamente cristiani. Se questi venissero a mancare, non sarebbe più autentica la proposta di Scautismo che si ridurrebbe a un insieme di tecniche e giochi, a pura animazione e sarebbe privo del suo vero valore e di prospettive per il futuro.

È invece attraverso i valori tipici dello Scoutismo che i ragazzi scoprono la presenza di Dio e crescono nel suo amore. La tecnica, il gioco, l’animazione, ma anche la fraternità, la gioia di stare insieme, la comunità, la festa, l’amicizia, la scoperta diventano, allora, occasioni per far risuonare quella dimensione trascendente che comincia ad entrare nel gioco scout fin dal momento della Promessa, insegnando al ragazzo a ricercare continuamente, a scoprire il senso religioso di ciò che succede nella sua vita dentro e fuori le attività scout, a leggere le tracce che Dio stesso segna nel concreto delle situazioni del vivere di ciascuno.

Lo Scautismo, in altri termini, oltre ad essere un ottimo metodo educativo, è anche una vera e propria esperienza di vita cristiana, una via privilegiata di spiritualità e di santità. A condizione, però, di sentirsi pienamente e attivamente parte di una comunità più grande che è la Chiesa:: «Il vangelo – diceva Giovanni Paolo II – trova significativi riscontri nelle parole chiave dello Scautismo e questo viene a sua volta illuminato e potenziato, quando è praticato nell’esperienza del cammino ecclesiale».

a cura di Mons. Giuseppe La Placa – Assistente Ecclesiastico Zona Castelli Nisseni

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