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Le riflessioni di Richelieu: “Spingere la Vara è la governance!”

Redazione

Le riflessioni di Richelieu: “Spingere la Vara è la governance!”

Mar, 27/01/2015 - 02:02

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vare Caltanissetta 2012 settimana santa (491)CALTANISSETTA – “Spingere la Vara”: non tutti possono farlo. E’ un sapere antico, quello dei portatori dei gruppi sacri, ognuno dei quali legato ad una Vara, conoscitore del suo peso e dei suoi punti di oscillazione, capace di coordinarsi con gli altri per calibrarne gli spostamenti che ne potenziano la velocità, la orientano, gli scarti che la frenano, a seconda dell’andamento del suolo delle strade nissene, quasi mai pianeggianti.

Il capolavoro di questa prossemica dell’antropologia culturale nissena è  la salita di via XX Settembre, ripida ed insidiosa per le forze che ne determinano le dinamiche di retrocessione, se non si riesce ad esprimere una spinta massima nella sua uniformità, senza strappi, senza fughe in avanti, convergendo insieme, le intelligenze e i muscoli di decine di portatori, a muovere i simulacri come se camminassero, visibili al di sopra dell’altezza degli uomini, come se fossero mossi dal fiume della storia.

La vicenda dell’Ultima Cena all’Expo è una metafora di segno contrario: il Mahatma lancia sui giornali l’idea di portare la Vara più grande e solenne del Giovedì Santo nisseno all’Expo di Milano, e annuncia di attendere soltanto l’ok di Curia e Sovrintendenza BB.CC. per passare alla fase operativa.

Giovanni ruvoloPiccolo particolare, lui, il Mahatma di Magonza, ideologo e leader maximo della democrazia partecipata, dimentica di coinvolgere, preventivamente all’annuncio, i Panificatori nisseni, detentori del sacro gruppo e curatori da oltre un secolo di tutte le sue uscite (finora, oltre al Giovedì Santo, soltanto per la Via Crucis con le Vare guidata dal Vescovo).

E i Panificatori fanno subito sapere che di portare l’Ultima Cena a Milano non se parla nemmeno. Non approfondiamo i motivi, non è questa la sede, ma vogliamo fare qualche considerazione metodologica.

Quando si guida una Città (o se ne ha il desiderio, la legittimità o la presunzione) non basta prendere al volo qualche idea, e lanciarla ad effetto sui mass media, senza averla prima elaborata coinvolgendo tutti i soggetti  interessati, condividendo con loro l’analisi dei passaggi e degli obiettivi, approfondendone insieme la conoscenza e sviluppando tutte le possibili soluzioni.

Non basta pensare di avere uno sponsor (e magari imbandirne i prodotti sulla mensa eucaristica  pensando di essere ad una conviviale del Rotary Club), non basta lanciare qualche segnale ad alcune istituzioni che si presume interessate e non coinvolgere la base sociale ampia di una manifestazione  fondante dell’identità collettiva dei nisseni come le Vare del Giovedì Santo.

I Gruppi sacri sono nati per rappresentare pubblicamente e nel momento più solenne dell’anno il desiderio di identificazione collettiva del popolo lavoratore della Città. Artigiani, operai delle zolfare, imprenditori piccoli e grandi hanno scelto, alla fine dell’800, nella fase del massimo sviluppo di Caltanissetta, di condividere un momento della Passione di Cristo, rappresentarlo plasticamente con i materiali poveri della cartapesta, costruire un percorso di sedici tappe (dall’Ultima Cena all’Addolorata) che si snodasse per le strade del centro storico nella notte che precede il Venerdì Santo, facendo di una memoria sacra anche una festa di condivisione, una sorta di funerale laico di Nostro Signore, prima di quello mistico e profondamente spirituale del Cristo Nero.

L’Ultima Cena riprende il grande e misterioso affresco di Leonardo che proprio a Milano si trova, e potrebbe essere  significativo che fosse presente all’Expo, come simbolo di un cibo non materiale, che, insieme al lavoro di chi il cibo produce, identifica la dignità e la maestà di tutti i popoli, proprio di quelli ai quali l’Expo si rivolge, in tutti i continenti del mondo, con il suo tema “nutriamo il pianeta”.

Per non banalizzare un progetto di questo respiro, per non ridurlo a mera promozione turistica, sarebbe stata necessaria una maggiore intelligenza politica, oltre che garbo istituzionale e rispetto per i soggetti.

Non si costruisce sviluppo senza ricostruire, ritessere in ogni fibra, il legame sociale che può mettere insieme tutte le energie positive del nostro territorio. Senza inseguire prima il “lancio” mediatico o la primogenitura, come si potrebbe fare in qualunque paesino.

Il marketing territoriale, nell’epoca della globalizzazione, non è promozione pubblicitaria, ma è una delle strategie più complesse dell’economia contemporanea, specialmente dell’economia dei beni immateriali, unica prospettiva vincente in un territorio come il nostro, come da tempo, ormai, da più parti si proclama.

Ma occorre sapere progettare, programmare e produrre strategie operative efficaci, elaborate con la partecipazione più capillare possibile, che non significa rinunciare alla “governance”, ma non scambiare la “governance” per decisione centralizzata e quindi burocratica, anche se spolverata di carisma profetico.

Il modello della governance che funziona, quella per esempio delle politiche pubbliche che hanno portato gli Stati Uniti fuori dalla crisi in pochi anni, non a caso si definisce “city is a growth machine” (la città è un apparato di sviluppo), in cui il coinvolgimento attivo dei soggetti economici e politici del territorio qualifica la densità istituzionale che costruisce il consenso e la compartecipazione efficace.

I processi decisionali di organizzazione e sviluppo  devono attraversare in profondità tutte le reti di interessi che agiscono sul territorio. Con l’umiltà e la determinazione di chi sa di avere bisogno di tutti. E prima della formazione delle decisioni. Figuriamoci poi anche prima della comunicazione mediatica delle stesse.

Altrimenti, con tutta la buona volontà, non si supera la soglia dei “dilettanti allo sbaraglio”. E infatti finora, alle performance del nostro Mahatma, non abbiamo sentito “suonare le campane”!

Richelieu Richelieu

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