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Le riflessioni di Richelieu. La democrazia “misteriosa” dei tecnici

Redazione

Le riflessioni di Richelieu. La democrazia “misteriosa” dei tecnici

Gio, 15/01/2015 - 23:45

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imageCome si misura la qualità della democrazia in una società occidentale avanzata, in un Paese membro del G8, di quelli che dovrebbero dettare le regole dell’economia per lo sviluppo del mondo, quando non si capisce più chi decide e a nome di chi sugli investimenti più importanti nel campo delle opere pubbliche, in rapporto alle esigenze dei territori?

Di recente a Caltanissetta due grandi assi infrastrutturali, quello ferroviario e quello della viabilità, sono stati interessati da interventi e decisioni di prospettiva, capaci di incidere sullo sviluppo economico del territorio per i prossimi decenni, senza che l’individuazione degli obiettivi (con la relativa analisi delle priorità) sia mai passata in una sede istituzionale democratica, dal Consiglio Comunale, all’Assemblea Regionale al Parlamento.Prima che la decisione si assumesse. Non dopo, per recriminare.

Abbiamo appreso dalla stampa che la Stazione centrale del capoluogo dovrebbe essere trasformata in un albergo di alto profilo (mentre con fatica la progettata alta velocità ferroviaria veniva “conquistata” fino alla stazione di Xirbi, se mai si realizzerà, in Sicilia, con quello che costa!).

Dalla stampa apprendiamo che l’ANAS (S.p.A. di Stato, azionista unico il Ministero dell’Economia) ha respinto il progetto del viadotto Anghillà-S. Spirito (la circonvallazione sud di Caltanissetta) tra le opere di compensazione che deve realizzare, obbligatoriamente, per riequilibrare il sistema delle infrastrutture del territorio dopo il raddoppio della Caltanissetta-Agrigento.

E lo ha comunicato in una riunione “riservata”, tra i vertici dell’ente alla presenza di un deputato regionale dell’UDC (ogni tanto c’è qualcuno che ancora crede di essere un notabile della prima Repubblica!) mentre il Consiglio Comunale non viene investito del problema, la cui soluzione potrebbe risanare o stravolgere definitivamente l’assetto urbanistico del capoluogo, con una mole di investimenti ed una mole di lavoro che potrebbero, se ben orientati, dare una spinta importante all’economia del territorio.

Chi decide quali opere realizzare, dove realizzarle, sulla base di quali studi sulle dinamiche socio-economiche e ambientali, con quali obiettivi di sviluppo e in quale prospettiva, che non siano il solito circuito incarichi-parcelle-appalti-tangenti, ormai logorato e inefficace se non per un gruppo sempre più ristretto di addetti ai lavori?

Di che cosa discutono le nostre istituzioni, nelle loro sedute lautamente “gettonate”, i nostri Parlamenti e i deputati, i partiti politici, i sindacati, le associazioni degli imprenditori, l’IRSAP, le Camere di Commercio, quel tessuto fitto di luoghi democratici in cui il popolo sovrano a vario titolo esprime la sua rappresentanza eleggendo, in primo o in secondo grado, gli esponenti di quella che dovrebbe essere, nel senso migliore, la propria classe dirigente? E la Comitiva della Legalità? Quale pensiero esprime sullo sviluppo, e sulle sue scelte concrete? Quello sviluppo che, dicono, è l’altra faccia della legalità?

Sono i dirigenti delle società partecipate, i funzionari, i consigli di amministrazione, che nei luoghi occulti di quello che un tempo si chiamava “sottogoverno” decidono, o ratificano, gli indirizzi dei grandi investimenti pubblici, i flussi di spesa, e con essi la fisionomia e l’identità dei territori e delle società che vi risiedono?

E con quale “intelligenza politica” degli interessi complessivi del Paese, con quale mandato democratico soprattutto, se non l’investitura lottizzatoria di chi li ha nominati o le logiche aziendalistiche autoreferenziali che prevalgono con la pretesa della “competenza tecnica”, totem-tabù che una classe politica improvvisata e impreparata, e soprattutto digiuna di formazione e di cultura politica, non riesce neppure a mettere in discussione o, figuriamoci, a scalfire?

E’ un po’ (con le debite proporzioni) come la vicenda della “grande piazza” e delle sue basole ballerine: un progetto che pure era stato elaborato con un concorso di idee, (e persino sottoposto ad un esame consultivo popolare, pensate un po’, stile “democrazia partecipata”!) ghermito dagli uffici tecnici comunali e da loro stravolto, rimasticato, ridimensionato con uno stile che definire minimalista è un elegante eufemismo.

Realizzato mandando in gara bandi “tecnici” che delle ricadute operative sul tessuto urbano e sulle attività del centro storico non tenevano conto neppure nelle intenzioni. Vissuto quindi dai cittadini come estraneo, sprecone e per molti inutile. Per non parlare del sarcasmo sulla qualità percepita delle realizzazioni! Ormai mangime per i blog, più o meno social.

Su quale piano si esprime, e si qualifica, la classe dirigente del nostro territorio, rispetto alla capacità di progettare e di realizzare trasformazioni positive, di qualità, in tempi rapidi, reali, indicando una prospettiva di sviluppo integrata, non occasionale e improvvisata?

E non diciamo, per favore, che lo sviluppo si progetta con i cittadini, tutti insieme appassionatamente, raccogliendo le idee, con gli esperti a titolo gratuito, giocando a scacchi in piazza o raccontando su facebook la fatica delle giornate del  Mahatma. Può andare bene tutto, e anche molto di più di questa pantomima della democrazia partecipata (che i Social Forum fanno vivere in altri Paesi con ben altro spessore), ma quando c’è alla base un progetto pensato intorno ad un’idea di società che non può essere “tecnico”, né tanto meno politicamente neutrale.

Quando una democrazia è forte è la politica che dà le indicazioni ai tecnici, non viceversa, come oggi ormai è costume a tutti i livelli istituzionali. Altrimenti a che serve la democrazia, e la politica, rispetto alla capacità di dare rappresentanza ai bisogni e ai desideri di cambiamento della società?

Rappresentanza, non rappresentazione. C’è una bella differenza.

Richelieu Richelieu

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