CALTANISSETTA – Nei film d’azione e d’avventura tutti i divi, specialmente hollywoodiani, per le scene difficili e pericolose, possono contare su uno “stuntman” (in italiano “cascatore” acrobata) una controfigura che, rinunciando alla propria identità, presta il suo fisico atletico per superare i “limiti” fisiologici del protagonista.
E così, Berlusconi, limitato nei movimenti dalle misure giudiziarie (anche generose data la natura del reato, l’evasione fiscale, imperdonabile per un uomo di Stato), ridimensionato nella visibilità mediatica, e ancora più drasticamente dal consenso popolare per il suo partito, ha pensato di usare uno stuntman per attraversare questa fase difficile: giovane, spericolato, moltosomigliante nelle dinamiche, nella comunicazione, nella formazione anticomunista, e desideroso di prendere il suo posto sulla scena della politica italiana.
Matteo Renzi è uno stuntman perfetto: capace di rischiare l’osso del collo per realizzare, lui, quello che a Silvio non è mai riuscito: l’abolizione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori è l’archetipo tribale di questo scambio di ruoli. Quando Silvio ci provò, Cofferati e la CGIL gli portarono in piazza tre milioni di lavoratori con il consenso della maggior parte di chi in Italia un lavoro lo svolgeva. Oggi spera che possa riuscirci Matteo, abituato a tenere sotto controllo più il “fuoco amico” dell’interno del suo partito che le bordate di avversari sempre più scoloriti.
Non che Silvio ne faccia una questione di vita o di morte, dell’art. 18, ma il valore simbolico della sconfitta definitiva di quello che resta della tradizione democratica dei lavoratori italiani, e del loro potere di negoziazione, è talmente importante che persino Brunetta in questi giorni si sta scalmanando per sostenere Renzi su questa linea, che sarebbe un successo del “soccorso azzurro” al governo, diventando così ostaggio dei voti determinanti del Cavaliere (ex).
Intanto, il Parlamento è paralizzato sulle votazioni del duo Bruno-Violante da eleggere alla Corte Costituzionale, che non riescono a raggiungere i voti necessari, mentre i parlamentari, rappresentanti del popolo sovrano, si vedono trasmettere gli ordini di scuderia dai rispettivi partiti con gli sms senza avere mai discusso in autonomia di criteri, requisiti, profili delle personalità da votare.
Umiliare il Parlamento: altro sogno di Berlusconi che lo stuntman-Renzi sta realizzando con determinazione luciferina. La prevaricazione del potere esecutivo sul legislativo, requisito che identifica i regimi autoritari e i populismi più o meno coreografici, si sta consolidando come prassi, senza che il Parlamento dei nominati-non-eletti si renda conto di essere strumento della propria delegittimazione.
E il tutto nel package luccicante (fino a quando?) del “cambiamento”, della “modernizzazione”, del “viaggio verso il futuro”, che sarebbe garantito da una robusta riconversione liberale e liberista del nostro Stato, del nostro sistema dei diritti, dello spazio e della dignità del lavoro e dei lavoratori nell’economia, con una ricetta che qualcuno ha definitotatcheriana, ma che, andando un po’ più indietro, potremmo collocare nell’orizzonte dell’”edonismo reaganiano”, ripercorrendo strade già fallimentari nei decenni finali del secolo scorso.
Renzi negli USA forse si sente De Gasperi nel 1947, sicuramente più “glamour” ma molto meno autorevole, rispetto al leader della ricostruzione, perché meno autonomo nel suo disegno politico e nella base sociale che lo sosterrebbe. Non a caso va a trovare Marchionne a Detroit, negli stabilimenti FIAT-Chrysler, mentre non è riuscito a portarlo a Termini Imerese a riaprire gli stabilimenti siciliani, nel suo tour dell’aria fritta della vigilia di ferragosto.
Al ritorno lo aspettano gli amici della “vecchia guardia”: Berlusconi e Verdini, come il gatto e la volpe con Pinocchio, pronti a votare il Job-Act, la legge sul lavoro, con l’obiettivo di essere determinanti e spaccare il PD e i suoi gruppi parlamentari, assestando il colpo definitivo al progetto di Governo del centro-sinistra (ancora così si chiama). Con la benedizione “viva e vibrante”, di un Napolitano sempre più scopertamente complice.
Tutto questo, mentre trascorre il tempo che serve a Berlusconi per recuperare, magari ridiventando eleggibile con l’aiuto della Corte Europea dei Diritti, lo stuntman-Renzi si lancia in una serie di salti mortali acrobatici pensando di dimostrare di essere capace di fare la rivoluzione a colpi di decreto-legge. Logorandosi nella politica dell’annuncio, senza realizzazione, e logorando la speranza investita dal suo 40% di elettori italiani, che avevano creduto alla favola di Pinocchio.