CALTANISSETTA – In maniche di camicia, il Presidente del Consiglio dell’ottavapotenza industriale del pianeta, si è presentato alle telecamere in una vorticosa tourneè di Ferragosto (4 tappe in 12 ore: Napoli-Reggio Calabria-Gela-Termini Imerese) nei luoghi cruciali della crisi industriale del Mezzogiorno d’Italia e d’Europa, atteso da migliaia di operai (veri) che da anni attendono dal Governo fatti concreti per la soluzione di problemi fondamentali non solo per situazioni locali di emergenza sociale, ma per gli indirizzi complessivi del futuro industriale del Paese.
Scandito per il resto del mondo da tweet vergati concompulsività seriale, il viaggio di Renzi ha regalato una collezione di luoghi comuni che forse un blog amatoriale avrebbe ospitato dignitosamente, ma che per il responsabile massimo della guida di un Paese che ha urgenza di superare una crisi epocale lasciano quanto meno perplessi:
“Serve capire che se riparte il Sud riparte l’Italia. (…) Abbiamo preso un impegno: verificare al Ministero, insieme a Eni come andranno avanti i progetti di sviluppo, tenendo conto delle esigenze economiche e strutturali. (…)L’impegno è quello di verificare passo passo, al tavolo del Ministero assieme ai vertici dell’Eni, sulla necessità di contemperare le esigenze di natura economica con quelle territoriali nella realtà gelese.(…) L’Italia si salva se si salva il Sud ma il Sud si salva se lo salvano i propri cittadini, non il governo”.
Forse è utile ricordare che l’ENI, sesto gruppo petrolifero mondiale per giro d’affari, prima azienda italiana e 22° mondiale per fatturato, è controllata dallo Stato italiano con il 30% del pacchetto azionario; il Governo italiano nomina 6 dei 9 componenti del Consiglio di Amministrazione, il Presidente e l’Amministratore Delegato. L’8 maggio 2014 Renzi ha nominato Emma Marcegaglia Presidente e Claudio De Scalzi Amministratore Delegato.
Nominando i vertici dell’ENI, che rappresenta tutto questo per l’Italia, il Governo italiano ha anche, come sarebbe naturale, indicato una mission di politica industriale o ha agito per simpatia personale o seguendo altre logiche lottizzatorie su delega dei poteri forti?
L’azionista di maggioranza è in grado di dettare la linea di politica industriale, di indicare le priorità negli investimenti, quanto meno quelli sul territorio italiano, di “concertarli” con la direzione tecnica dell’azienda, o siamo alle vecchie schermaglie sulle “compatibilità” tra sviluppo dell’economia reale e logiche del profitto fine a se stesso che negli anni ’70 e ’80 hanno segnato il fallimento delle politiche economiche del nostro Paese?
Compreso, sul versante privato, il rapporto subalterno e assistenziale con il monopolio automobilistico della FIAT, che oggi se ne va dalla Sicilia senza spiegazioni né margini di trattativa.
Lo aveva chiesto Susanna Camusso a Renzi, durante la manifestazione dei 20.000 di qualche settimana fa, quando un intero territorio è sceso in piazza: “verrà a Gela come azionista di maggioranza dell’ENI a prendere impegni precisi, o no?”
Sembrerebbe di no, da quello che abbiamo visto e sentito.
Per affrontare il tema delle politiche industriali in un contesto multinazionale e nel pieno di una crisi europea in cui il -0,2 di PIL è ormai una cifra condivisa dai paesi più importanti (Germania compresa) ci vogliono i pensieri lunghi di una politica capace di pensare l’innovazione e costruirla in concreto, non di galleggiare sul presente a colpi di incantesimi comunicativi.
La presenza del Presidente del Consiglio nelle “capitali della crisi” alla vigilia di Ferragosto è stata sicuramente il segno di un’attenzione nuova, oltre che un colpo mediatico efficace in giorni vuoti di notizie per i mass media.
Ma “Se riparte il Sud riparte l’Italia” non basta twittarlo o dichiararlo davanti alle telecamere dei TG. Un Governo che ha l’ambizione di “cambiare verso” al Paese deve essere capace di indicare la strada dello sviluppo, costruirla e percorrerla. A tappe forzate, se occorre. Visto che il tempo, più che la qualità dell’azione, sembra essere l’ossessione del “rottamatore”.
“Prima delle riforme viene il lavoro” hanno sintetizzato efficacemente gli operai di Gela nello striscione con cui hanno accolto il Presidente. Poche parole che fanno giustizia di mesi di dibattito politico che è sembrato surreale rispetto ai problemi quotidiani degli italiani.
Gli operai, un tempo la “classe generale” delle società industriali avanzate, lo hanno capito subito. Speriamo che lo capisca anche il Governo del #cambiaverso.
Altrimenti “Renzie” in maniche di camicia è soltanto una icona mediatica di mezza estate, nella suatorneè dell’aria fritta.