CALTANISSETTA – Quando si vuole fare una rivoluzione, e lo si proclama a gran voce, e capita persino che si vincano le elezioni per averlo proclamato, bisognerebbe sapere non solo cosa si vuole rivoluzionare, ma soprattutto “come” fare, specialmente se questa rivoluzione non la si fa a colpi di ghigliottina come ai tempi del vecchio Robespierre, ma la si deve fare dentro una macchina istituzionale e burocratica complessa ed infernale come la Regione Siciliana.
Il sostegno mediatico non è sufficiente, né può bastare la capacità di affabulare e di comunicarla, la rivoluzione: ci vuole un progetto di società, alcune priorità chiare e condivise la cui realizzazione, rapida, dia il senso e sia il segno concreto di cosa si vuole fare; e, sapendo che le rivoluzioni sollevano immediatamente le reazioni degli interessi che vengono colpiti, è indispensabile sapere aggregare e organizzare gli interessi, legittimi, di chi invece deve recuperare ingiustizie e sofferenze secolari, e conquistare con la rivoluzione dignità e benessere.
Il governo Crocetta era nato proclamando addirittura che “la rivoluzione è già cominciata”, e il Presidente-guerrigliero aveva per questo composto una squadra di assessori disomogenei agli organici dei partiti e dei gruppi parlamentari tradizionali (che all’Assemblea Regionale sono una casta che sta tra i cacicchi delle tribù precolombiane e i califfi dell’impero musulmano, entrambi dispotici e semidivini).
Una squadra che dopo la rapida epurazione dei due assessori-immagine, Battiato e Zichichi, si è strutturata come segreteria del Presidente, non solo perché tra gli assessori c’erano anche alcunesegretarie, sue e dei suoi sodali, ma perché la sua investitura rivoluzionaria richiedeva obbedienza, sottomissione e docilità, senza mediazioni, equilibri politici che facessero “perdere tempo”, né personalità di spicco che togliessero “luce” al Divo Saro.
La vicenda recente e dolorosissima del clamoroso flop del Piano Giovani e il disastro del click-day, mandato a monte dall’incapacità di gestire con strumenti tecnici affidabili l’impatto prevedibilissimo con decine di migliaia di domande di giovani affamati di lavoro, ha fatto emergere definitivamente il buco nero che sta divorando, insieme alla credibilità del governo Crocetta le speranze di milioni di siciliani che si sarebbero accontentati di molto meno di una rivoluzione. Sarebbe bastato saper fare le cose che si proclamavano a parole.
Il “saper fare”! Nel linguaggio economico lo chiamano “know-how”, e si dice che l’Italia abbia ormai solo in questo la sua risorsa più grande per stare nel mercato globale, ormai saturato nel settore puramente manifatturiero dall’invasione delle produzioni orientali.
A maggior ragione una rivoluzione politica senza know-how è impossibile persino pensarla. Figuriamoci di fronte allo spettacolo drammatico dello scontro tra grandi burocrati regionali e governo (Crocetta e Scilabra in questo caso) dove è andato a finire il know-how di chi addirittura, oltre che moralizzare (e nel caso della formazione professionale era una priorità assoluta) si proponeva di fare del lavoro e della valorizzazione delle competenze di migliaia di giovani siciliani la priorità di quel “governo della legalità” che doveva liberare la Sicilia dalla morsa della mafia e del suo controllo dell’economia e della ricchezza dell’isola!
Un governo rivoluzionario non può palleggiare le responsabilità con i dirigenti della propria burocrazia come si è visto di fronte alla Commissione Parlamentare, né può pensare di riparare politicamente cacciando la dirigente responsabile del disastro click-day, dirigente che peraltro ha rivelato back-stage inquietanti rispetto agli indirizzi ricevuti da Nelly Scilabra, definita “giovane assessore che non voleva perdere visibilità”, e che per questo, invece di affidare ai centri per l’impiego della Regione la gestione del click-day, aveva indicato l’affidamento diretto a società esterne per la modica cifra di 5 milioni di euro.
Un governo rivoluzionario deve essere composto da personalità capaci di “know-how”, che padroneggino anche le procedure e gli strumenti amministrativi necessari per tradurre il proprio progetto in cambiamento concreto della realtà, senza doversi affidare “ciecamente” alla competenza, pur necessaria, dei burocrati, anzi, indicando loro i percorsi, i metodi e i criteri per incardinare gli atti amministrativi in funzione del progetto, e non viceversa.
Senza know-how non c’è rivoluzione possibile, almeno in occidente e nell’orizzonte della democrazia. E non serve criminalizzare tutto quello che contrasta con questa incapacità, né evocare scenari inquietanti e poteri occulti.
Il know-how di un politico che vuole cambiare veramente le cose, anche senza volare in alto con la “rivoluzione”, deve metterlo in condizione di sapere, se occorre, scrivere da solo disegni legge, decreti, circolari, e persino bandi di gara, salvo naturalmente affidare ai funzionari la verifica di legittimità della loro impostazione. Altrimenti si diventa “dilettanti allo sbaraglio”:
Questo vale a tutti i livelli, dal più piccolo comune ai vertici dello Stato. Perché è la politica, in democrazia, che sa pensare alle cose che non esistono (ancora) e che riesce, se ha il consenso, a trasformarle in realtà per tutti.
L’aristocratico Parmenide, filosofo nemico della nascente democrazia greca, nel VI secolo a.C. ammoniva che siccome “l’Essere è e il non-essere non è, le cose che non esistono non si possono pensare e non se ne può parlare”.
A Crocetta e al suo governo, senza l’adeguato know-how per la rivoluzione in Sicilia, non rimane che questa alternativa: tenersi la Regione che c’è; così com’è. In silenzio.