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Palazzo d’Orleans apre le porte al Fatto Nisseno. “Sarò il Rivoluzionario”

Redazione

Palazzo d’Orleans apre le porte al Fatto Nisseno. “Sarò il Rivoluzionario”

Gio, 20/02/2014 - 00:03

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presidentePALERMO – Un pomeriggio piovoso, uno come pochi a Palermo, nella città delle sirene che cercano di farsi strada nel traffico pomeridiano, specie nei dintorni dei palazzi del potere, tra Orleans e Normanni. In un pomeriggio di questi, incontro Rosario Crocetta, il presidente, il sindaco dei siciliani come lui stesso amava definirsi, il sindaco di Gela, come lo ricordiamo noi, e adesso a capo di questa sgangherata regione. Davanti Palazzo d’Orleans in pianta stabile due camionette dei Carabinieri, di fronte un cronico gazebo con bandiere rosse di sindacati. Tre ore di attesa, un tempo non perduto se si usa l’occhio da cronista per capire ed immagazzinare cosa ti succede intorno. Mentre aspetto il presidente, scambio battute su Bildemberg e la deriva violenta della politica italiana col deputato del Megafono Antonio Malafarina, siracusano, questore di lungo corso, fedelissimo del presidente. L’attesa si allunga, ci sono i forconi da incontrare, giunti a palazzo senza preavviso, uno stuolo di deputati che vanno e vengono. C’è da lottare coi numeri, impietosi per Crocetta alle prese con una maggioranza esigua e ballerina, tra un PD in crisi di identità, ed un UDC che come da tradizione del suo fondatore, spiega le vele del potere laddove mira il vento più favorevole. Così se il partito di Casini in Sicilia governava con Crocetta ed il PD, a livello nazionale appoggia Alfano e Berlusconi. Ma questa è un’altra storia, o quasi. Il presidente mi riceve. “A noi” dico io, la risata di Crocetta che spiega “a noi, ricorda linguaggi di memoria fascista”. Per fortuna non era il nostro caso. Nella stanza del presidente, il suo staff, tanti giovani di animus pugnandi, l’atmosfera è distesa ci sarebbe tempo per una sigaretta ma, qualcuno ha preso l’accendino del presidente. Ci si scherza su.

Presidente, a poco più di un anno dall’insediamento del suo Governo si sente ancora di parlare di rivoluzione? “La rivoluzione non è un fatto statico, non è un’ora X in cui cambia il mondo, è una visione questa retorica della rivoluzione. Un work in progress, qualcosa di dinamico che avviene ogni giorno. La prima rivoluzione è cambiare l’atteggiamento culturale. Quando sono arrivato ho trovato non solo una Sicilia che era a rischio di collasso del bilancio, ma anche un isola in cui non c’era alcun dialogo tra istituzioni e società. All’indomani della mia elezione ho trovato lavoratori pip e forestali non pagati da un anno, per 200 milioni. Subito le emergenze. Un buco di bilancio per un miliardo di euro che abbiamo dovuto coprire tagliando sprechi ed avviando una lotta serrata alla corruzione”. Da li il presidente è un fiume in piena, sviscera dati e numeri, e lo fa con quell’orgoglio di chi vorrebbe raccontare ai cittadini che non è tutto marcio in Sicilia, o per lo meno, che si sta lavorando sulle macerie di un disastro causato da decenni di corruttele. Tra le battaglie agli sprechi condotti da Crocetta ce ne sono talune parecchio vistose, come la storia dei 21 giornalisti dell’ufficio stampa, assunti senza concorso dall’allora presidente Lombardo, tagli al business della formazione professionale con denunce in procura, e pentole scoperchiate su enti gestiti da esponenti dello stesso partito di Renzi in tutta la Sicilia. Di 90 milioni è la maxi inchiesta sulle cifre dell’affaire Ciapi, con un sistema do ut des a personaggi opachi che distribuivano vizi e prebende per aggiudicarsi appalti di comunicazione e promozione. La gara da 75 milioni di euro scoperta ed annullata per la fornitura dei pannoloni in un noto ospedale palermitano, il taglio di 8 milioni di euro di indennizzi ai dirigenti. L’allontanamento di oltre 50 ditte mafiose che avevano appalti con la Regione e così via. Circa 3 mila erano invece le pratiche arenate all’assessorato Territorio ed Ambiente. Numeri ed ancora numeri.

Ma Crocetta, quanto guadagna? “Ho rinunciato al 40% del mio stipendio. Guadagno la metà del mio predecessore, quindi ho stipendio da deputato, e mentre chi c’era prima di me spendeva 4 milioni di euro per le spese di rappresentanza all’anno, io ne ho spesi 50 mila. Credo sia una bella differenza. Dopo tutta la riforma Monti, all’Ars si sono risparmiati 5 milioni. Mentre se si vigila su gare d’appalto, si risparmiano centinaia di milioni di euro. Oggi dobbiamo parlare anche di riconversione della spesa con aiuti alle imprese, all’agricoltura, al turismo, all’artigianato, tutti i settori che hanno bisogno di credito, ecco perché stiamo quindi rilanciando l’Irfis”. 

La sua maggioranza? “Tutti si vogliono sentire il centro del mondo. Ma saremmo realmente più forti ragionando insieme con spirito socratico. Non si va lontani se ci si convince che la propria idea sia sempre e solo la migliore. La politica deve diventare un luogo di confronto, progettazione e rispetto degli antagonisti. Quando un presidente viene eletto dal popolo, non deve essere un dato della sola maggioranza ma anche delle opposizione. Non bisogna cercare di paralizzare il lavoro ma contribuire ciascuno con le proprie idee a cambiare le cose”.

Il meccanismo della politica è sempre lo stesso comunque, se vuol far passare una sua linea deve mediare con le istanze dei parlamentari. “Io non offro mai contropartite di natura diversa da quelle politiche. Di certo, mi sarei aspettato qualcosa di più dall’Ars, non si possono approvare dieci variazioni di bilancio in un mese. La finanziaria è rimasta 20 giorni a Palazzo dei Normanni. Tutt’altro rispetto al parlamento europeo, in cui tutto il lavoro si faceva in commissione, la legge in aula la si approvava in brevissimo tempo così come tutte le dichiarazioni di voto, le si facevano dopo il voto”.

Avete abbassato le royalties sull’estrazione degli idrocarburi. Un regalo ai petrolieri. “Ci siamo trovati l’anno scorso ad un raddoppio, che non ha avuto equivalenti in Italia. Lo scorso anno in Sicilia le aumentammo di colpo dal 10 al 20%. Le industrie hanno minacciato di voler chiudere e  licenziare i lavoratori, delocalizzando. Oggi le abbiamo portate al 13% che è sempre nella media nazionale. I petrolieri hanno portato investimenti per miliardi di euro, io in una situazione occupazionale di questo tipo un tentativo di creare lavoro lo dovevano fare. Prevedono anche miglioramenti ambientali, quindi anche progetti di bonifica. 

Impugnativa della legge di stabilità da parte del Commissario dello Stato. È il commissario è cattivo o siete stati voi incapaci formulare i provvedimenti? L’impugnativa non dice che le norme non siano legittime, né che non ci siano delle norme senza copertura. Esisteva nei bilanci precedenti degli anni scorsi un fondo per il rischio dei residui attivi. Nel risanamento del bilancio ogni anni si cancella una parte di quei debiti. Il precedente Governo ha però cancellato il fondo a rischi di queste mancate entrate. Noi siamo la prima regione italiana che quel fondo lo stava ricostituendo. Abbiamo messo 300 milioni, ma il Commissario valutando un rischio di oltre 2 miliardi e mezzo, ci ha imposto di mettere tutti i soldi in un’unica soluzione. Come dire ad una famiglia di saldare un mutuo di 200 mila euro in un anno. Su questa logica il commissario ha tagliato spese necessarie: Teatri, pensioni,  consorzi di bonifica, spese non certo nuove, determinando la possibilità di licenziare circa 30 mila persone. Anche il governo nazionale pensa che questo debba essere fatto ma con un percorso di 15, 20 anni. La cosa che più mi fa rabbia è che una pare della politica siciliana su questo abbia giocato”.

Non è quindi colpa vostra? “Colpa nostra di cosa? Sui debiti degli altri? Stiamo parlando di situazioni che esulano dalla nostra manovra finanziaria che era perfetta”.

Non ritiene di dialogare solo con confindustria? “Una volta c’era la confindustria di Di Vincenzo, era una confindustria collusa con la mafia, che teneva dentro gente che pagava il pizzo e faceva affari con la mafia. Quando io attaccai quel sistema confindustriale da sindaco facevo battaglia solitaria. Il primo che ha avviato quella lotto è stato Rosario Crocetta sindaco di Gela. Ora non posso non tenere conto che il sistema è cambiato con l’arrivo di Montante, Venturi, Lo Bello Confindustria ha iniziato ad espellere chi fa accordi con la mafia. La battaglia contro le mafie è una battaglia trasversale, che trascende rispetto ai rapporti di classe, come la lotta contro il fascismo. C’era il radicale, il popolare democratico, il cattolico, persino una parte del movimento monarchico. Tutti stavano insieme perché l’obiettivo era combattere il fascismo. Oggi l’obiettivo è lottare contro la mafia. E quindi c’è Confindustria, ci sono i lavoratori, le associazioni datoriali e noi dobbiamo trovare larghe convergenze. Sulle politiche di sviluppo, noi possiamo pensare che questo avvenga senza le imprese? In Sicilia le aziende sono 500 mila, vogliamo che un presidente della regione non discuta con 500 mila imprese, piccole, familiari e grandi? Sarei un matto che non vuole lo sviluppo della Sicilia”.

Nel caso dell’incidente in cui fu coinvolta la seconda auto della sua scorta, lei disse che era stata la mafia. Le accuse mossegli furono di vedere la mafia ovunque. Ci sono cose che non ha dichiarato perché ci sono atti giudiziari? “Firenze, processo aprile del 2013. parla un pentito di mafia. Dice: Crocetta è stato condannato a Morte. I pm chiedono, ma questo giudizio di condanna a morte non si può cambiare? Non si può cambiare perchè chi lo ha emesso è morto, e quindi il giudizio è irrevocabile. E deve avvenire in modo casuale, deve sembrare un incidente. Mi consentirà che qualsiasi incidente che mi può capitare qualche sospetto mi può nascere. Perché dicono che Crocetta non deve essere riconosciuto come eroe dell’antimafia. Non deve avere neppure queste possibilità. Su quell’incidente assicuro che le modalità erano antipatiche. Non è stato un mio sospetto. C’è stata una relazione un po inquietante della polizia”.

Non le capita di pensare di levarci mano, di dimettersi?  “Sono stato alla festa di Sant’Agata ed ho scelto di stare anziché sui terrazzi, sul marciapiede in mezzo alle candelore, mi son trovato in mezzo ai cittadini, ragazzi, anziani, giovani lavoratori, mi dicevano siamo tutti con te, presidente vada avanti. A volte mi chiedo cu mu fa ffare, specie quando sento certi giudizi frettolosi della politica ci sto male, ma quando incontro il bambino che mi sorride e mi dice ciao Crocetta o la signora anziana che mi dice u travagghiu ppi picciotti, quando incontro questa gente, dico chi me lo fa fare? L’amore per questa terra e per l’amore delle vittime di questa realtà, ovvero i siciliani. Ho deciso di dare una scelta diversa della mia vita. E non posso più tornare indietro, come quando o fai parte della mafia e non te ne puoi uscire, o quando fai antimafia e fai cose che non puoi più lasciar perdere. Anche se mi fermassi adesso non finirei di essere a rischio. Aldilà di questo, passo anche dei momenti di sconforto e di dolore perché quando ho avviato il Governo e questa azione di risanamento, mi sarei aspettato più solidarietà e meno cinismo. Meno pensieri del tipo: Finalmente lo sgambettiamo Crocetta e se lo possiamo impallinare tanto meglio. Io me ne frego se impallinano me, ma mi preoccupo se impallinano i siciliani. Ed è un senso di irresponsabilità inaccettabile”. La nostra chiacchierata dura due ore. Il Fatto Nisseno precede l’Assessore Lucia Borsellino ed un incontro con nuovi manager per la sanità, l’incontro è rinviato all’indomani. Il presidente visibilmente stanco, riprende le Marlboro e legge compiaciuto l’ultima sortita di Cuffaro che da Rebibbia sentenzia sull’operato del presidente gelese. “Se Cuffaro ci critica- commentano i lavoratori della Presidenza- è l’ennesima spilla di questa esperienza”.



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