Il 15 novembre, nei locali della sala “P. Borsellino”, è stato presentato un libro scritto da un portatore di handicap: sarà la prima volta a San Cataldo e già questo potrebbe bastare per farne in qualche modo notizia. Ma è anche una buona occasione per tornare, come ci eravamo ripromessi, ad affrontare l’argomento disabilità, raccontando storie, problematiche, illustrando necessità, facendone parlare i protagonisti. Il libro in questione è “Un viaggio – Esperienze di vita di un uomo viste dal suo ‘pianeta handicap”, scritto da Nino Sidoti.
Recuperato grazie alle cure e alla dedizione di Cittadinanzattiva – Tribunale per i Diritti del Malato di San Cataldo e per l’impegno instancabile di Rosetta Anzalone, stampato da Edizioni Lussografica di Caltanissetta, con il contributo della BCC “G. Toniolo” di San Cataldo, non sarà in vendita ma sarà a disposizione nelle biblioteche comunali locali. Alla presentazione, oltre alla stessa prof.ssa Anzalone, interverrà fra’ Samuele Salis. Modera Giuseppe Giordano, responsabile del T.D.M.
Oggi Nino è un disabile grave, non può muoversi, non può quasi neanche parlare, a causa di una anomalia genetica che la medicina ha classificato con il nome di “Atassia di Friedreich”: nel caso specifico in una delle forme più acute, con paralisi totale, disturbi cardiaci e diabete. Oggi Nino non può fare nulla da solo, è aiutato dal suo “traduttore” Mustafà che si occupa di accudirlo, pulirlo e dargli da mangiare: nulla, se non leggere, attività che porta avanti con una certa frequenza e curiosità, soprattutto su temi scientifici e storici. Perché la disabilità fisica non ne ha intaccato l’essere curioso, una mente sveglia, brillante e di una sensibilità rara.
Quello di Nino non è un libro che parla della disabilità e basta: ci racconta il suo “viaggio”, dai primi sintomi fino alla scoperta di un nuovo mondo interiore, fatto di una confortante fede in Dio. Un viaggio che attraversa la sofferenza senza mai approfondirla, come se in realtà non fosse che un piccolo dettaglio della storia, nulla che valga la pena di anteporre all’amore vero per una donna o, di più, per Dio.
Nino da giovane vive una vita atipica: figlio di un artificiere, è costretto ad abitare nelle polveriere, dove sono predisposte anche le abitazioni dei militari. Già a quell’età era evidente un diverso contatto con la vita: piuttosto che patire l’isolamento e la quasi totale mancanza di rapporti sociali, Nino ne apprezzava le possibilità di esplorazione e di riflessione, la costante aderenza con la natura. Iscritto alle scuole medie, a 11 anni e mezzo comincia ad avvertire i primi sintomi della malattia: stanchezza, disturbi all’equilibrio, problemi motori, un’andatura incerta e traballante che gli sono costati la cattiveria, di cui sin troppo spesso i bambini sono capaci. Impossibile, a quel tempo, diagnosticare la malattia di Nino e dargli cure e supporto necessari.
Nonostante le difficoltà e un ambiente ostile, anche nella figura di qualche insegnante, Nino supera brillantemente le scuole medie e si iscrive al Liceo Scientifico. Pochi mesi dopo è costretto a trasferirsi a Caltanissetta dove, a dispetto dei suoi timori iniziali, trova più comprensione e non è più costretto a subire tutte le angherie degli anni precedenti. Nel 1970 consegue la maturità scientifica e decide di iscriversi all’università in Medicina, suo grande sogno. L’esperienza dura poco, il tempo di frequentare una materia e saggiare le difficoltà che il connubio malattia-università gli creava e gli avrebbe creato.