PALERMO – “L’ulteriore impiego di risorse del bilancio regionale per garantire le proroghe non è una strada percorribile. Così come sono immorali i tagli previsti alla cultura, ai servizi e agli investimenti. La Regione siciliana, al netto delle spese sanitarie, spende già un terzo del proprio bilancio in stipendi (dati della Corte dei conti 2012)”.
I deputati del gruppo parlamentare del Movimento 5 Stelle all’Ars bocciano senza mezzi termini la politica della Regione finora messa in campo per il precariato.
“In una situazione come questa – dicono i deputati – bisogna necessariamente cambiare rotta e decidere di investire nell’autoimpiego, trasferire personale dal settore pubblico a quello privato, agevolando le assunzioni di precari e snellendo quest’esercito di più di 20.000 persone non più sostenibile, che ingolfa la macchina amministrativa”.
Nessuno, secondo i parlamentari 5 Stelle, deve essere lasciato indietro, prevedendo il reimpiego in settori produttivi, la riqualificazione e la formazione del personale. Ma non devono essere lasciati indietro neanche coloro che il lavoro l’hanno perso, i giovani costretti ad emigrare e gli inoccupati.
“La vecchia politica – proseguono i deputati – ha messo gli uni contro gli altri, ha creato uno scontro generazionale nel quale sguazza indisturbata e ha foraggiato l’astensionismo. Oggi si tagliano 300 milioni che sarebbero potuti servire per dare risposte a tutti i siciliani, non solo a chi è legato al deputato di turno. Si tagliano i fondi alla cultura e ai servizi e non si prevede uno strumento di contrasto alla povertà vero, equo e unico, come il reddito minimo garantito. Non c’è programmazione, ci si riduce sempre ad un regime di ’emergenza programmata’, con politici e sindacati che si fanno scudo dei lavoratori. Che importa se, in nome della disperazione di alcuni, a pagare sono poi tutti gli altri?”.
“Pur vicini umanamente alle vicende di coloro che si sono trovati coinvolti in queste dinamiche, create ad arte dalla politica – concludono i deputati – non possiamo che essere in disaccordo con le proposte di chi il problema l’ha costruito, e a cui forse lo stesso problema torna utile per propri fini elettorali”.