Da tempo, troppo ormai, Caltanissetta ha le favelas. Luoghi, tanti, in cui le persone vivono senza nulla. E ci siamo stancati di ripeterlo. E Caltanissetta si è ampiamente adagiata su una posizione che non le appartiene: quella di metropoli da milioni di abitanti con le favelas. Il problema è che Caltanissetta è altro: è una cittadina, nemmeno bella né ridente, dell’entroterra siciliano, che sopravvive (ironia della sorte, proprio grazie agli stranieri) sulla soglia, fatidica, dei 60.000 abitanti. Ma con le favelas.
Nelle favelas noi, e non solo noi, ci siamo andati, a vedere i mostri. Quello che abbiamo trovato non importa raccontarlo a chi non vuole vedere né sentire. Ma una cosa va detta: abbiamo visto malati abbandonati a sé stessi, storie di ambulanze chiamate e mai arrivate, richieste di aiuto ai medici di pian del lago rimaste inascoltate. Storie di ragazzini idioti che tirano le arance addosso agli stranieri quando li incrociano per strada. Finchè sabato mattina si è compiuto l’assurdo: a visitare quelle persone è arrivata la troupe di medici senza frontiere. Associazione che opera nei paesi in guerra, nei campi profughi. E a Caltanissetta. Che non è in guerra, non ha, checché se ne voglia dire, campi profughi, si trova nel centro di un’isola al centro del mediterraneo di uno dei paesi più ricchi del mondo.
E che ha sancito, una volta per tutte, che anche la tutela della salute guarda al colore della pelle, e dei documenti.
Se sei bianco chiami l’ambulanza, se no speri di non morire in attesa che medici senza frontiere venga a vedere cosa hai.
E nessuno si permetta di blaterare di crisi.
La crisi c’è, sicuramente, ed è devastante. Ma non è economica. E’ culturale. E morale.
E poco importa se per soddisfare il proprio bisogno di sentirsi parte di una comunità i nisseni vadano a messa la domenica o partecipino alle primarie del partito di appartenenza per eleggerne il segretario: la loro coscienza rimane più sporca di una cloaca.
Sportello per Immigrati. Caltanissetta. Con vergogna.