In questo numero i Fatti della Curia prendono il posto della rubrica Fatti in Redazione. E’ stato difficile redigere l’articolo, non si possono condensare in ‘poche’ righe le emozioni scaturite dall’animo e dal cuore di un Vescovo che ci ha condotti per mano a ‘vivere’ le difficoltà di chi quotidianamente sorretto dalla Provvidenza si confronta con gli uomini e le sue debolezze.
Due lustri alla guida della chiesa nissena. Dieci anni di Mons. Mario Russotto il vescovo “on the road” con chiaro riferimento al mitico Jack Kerouac ed al suo romanzo autobiografico nel quale scrisse: « Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati» «Dove andiamo?»
«Non lo so, ma dobbiamo andare». Il vescovo non conosce il percorso ma è certo della guida della Provvidenza: la strada è lastricata di prove e difficoltà ma illuminata dalla fede e dalla Parola di Dio.
L’INIZIO. “Io non volevo essere vescovo anche se come dice san Paolo ‘desiderare l’episcopato è una cosa buona’. Quando sono arrivato nel capoluogo nisseno, ho vissuto il mio episcopato con pienezza e dedizione, le stesse che mi hanno accompagnato nel mio essere parroco. Ho sempre dovuto cominciare da zero ma quando andavo via, lasciavo le cose avviate. Quando sono arrivato qua, intanto volevo ascoltare il cuore della gente, era una delle poche diocesi che non conoscevo”.
Le direttive portanti della sua missione sono ben chiare, un binario saldo su cui Monsignor Russotto si è incamminato per compiere la sua missione.
LE DIRETTIVE. “Tratti portanti del mio agire sono due. Il primo è LA CENTRALITA’ DELLA PAROLA DÌ DIO o si comincia dalla Bibbia oppure facciamo moralismi e chiacchiere inutili, il secondo LA CENTRALITA’ DELLA PERSONA, la dimensione umana. La novità assoluta del cristianesimo è il primato dell’uomo, Dio si è fatto uomo: l’umanità diventa la porta del cielo. Il mio ministero lo vivo con umanità: al di là di ogni scelta di fede, credente o non, cattolico o no”.
Superato l’impatto dell’arrivo nel capoluogo nisseno e guidato dalla fede, era il momento di pensare alla casa, all’accoglienza.
L’EPISCOPIO. “Al mio arrivo l’ho dovuto restaurare interamente era inagibile. Io desidero che la mia porta sia aperta a tutti. La tavola è sempre apparecchiata. Difatti non ho voluto nessuno dei miei parenti in episcopio, ho chiesto alla Madre Generale delle suore francescane, due suore per accogliere la gente, per fare in modo che le persone potessero sentirsi a casa. I primi otto mesi ho abitato in seminario. In seguito grazie alla Cei e alla Provvidenza, siamo riusciti a renderlo sobrio, accogliente ma senza ricercatezze; elemento dominante l’armonia in modo che ognuno possa sentirsi in pace”.
Le azioni non sono dettate solo dalla volontà degli uomini, ci sono altre parti che ad alcuni possono apparire casuali ma che per altri sono facilmente identificabili e assumono nitidamente e chiaramente i tratti dell’imperscrutabile volontà divina. Con sapiente arguzia Sua Eccellenza ci racconta una vicenda particolare. IL MOBILE. Molti amici con generosità mi aiutarono ad arredare lo stabile. Un architetto m’inviò un’e-mail in cui mi comunicava che presso un antiquario di un paese dell’entroterra siciliano vi era un mobile bellissimo, francese, del XIV secolo (ovviamente munito di tutti i certificati del caso) ma dal costo di 29.500 euro; la cifra mi fece sobbalzare sulla sedia. Mai e poi mai avrei potuto impiegare tanti soldi a tale scopo. Un giorno decisi di mettermi in macchina e con 2500 euro in tasca mi recai a vedere tale meraviglia lignea. Trovai un vecchietto scoraggiato, prossimo a chiudere l’attività poiché da mesi non vendeva uno spillo. Mi presentai. A quel punto l’anziano mi chiese di pregare per lui. ‘Io ti regalo 2500 euro per quel mobile. Se tu nei prossimi giorni dovessi vendere qualcosa, mi porti il pezzo altrimenti tranquillamente tieniti pure questa cifra’. Mi prese per pazzo, io gli lasciai il mio biglietto e me ne tornai in città. Nel pregare il Signore gli dissi di non farmi fare questa brutta figura. Dopo quattro giorni, l’anziano mi chiamò singhiozzando, in lacrime, dicendo che il suo negozio era stato preso d’assalto. Puntuale, con un camion mi portò il mobile, e dopo avermi abbracciato, l’indomani mi consegnò inoltre quattro sedie che a suo dire si abbinavano perfettamente con l’arredamento della stanza”.
Adesso è il momento di parlare dei nisseni. L’osservatorio privilegiato di cui gode il nostro interlocutore, può servire a capire meglio gli abitanti di Caltanissetta.
DIFETTI DEI NISSENI. “Il difetto maggiore dei nisseni è la rassegnazione: Questo è un popolo di rassegnati. Gli abitanti di questa città non farebbero mai una rivoluzione, aspetterebbero sempre che fossero gli altri a iniziarla e poi si accoderebbero. Credo che ciò accada perché provengono dalla cultura del sottosuolo, con riferimento alle Miniere. Sono stati sempre costretti a subire, ad accodarsi ma mai ad alzare la testa o a prendere l’iniziativa. I Nisseni stanno bene sotto tutti. L’altro difetto dei nisseni e che sovente non lasciano trasparire mai quello che realmente pensano. Io quello che ho nel cuore, ho nella mente e sulle labbra. Ho faticato a capire che il sì certe volte è no ma non per opposizione. Camaleontismo”.
PREGI. “Il cuore, proprio perché è stata una gente sfruttata, oppressa, ha coltivato un’interiorità profonda. Hanno bisogno di tempo, non si sbilanciano ma poi ti danno il cuore. Non sono superficiali, né un popolo che si da delle arie. L’altro pregio prominente credo sia la semplicità che pero è incrostata. Cambiano se gli dai le carezze, l’ho imparato strada facendo. Hanno bisogno di sperimentare la paternità specialmente da parte dell’autorità, che forse qui a qualsiasi livello è sempre stata distante dal popolo, un corpo estraneo. Io ho fatto tanti matrimoni e battesimi di gente poverissimi, non osavano neanche chiedermelo. Ero io a offrirmi, questo ha spalancato i cuori”.
Il parallelismo con il mondo del calcio è agevolato dalla passione che Monsignor Russotto ha per la Juventus,(a tal proposito sul nostro sito racconteremo una vicenda curiosa relativa alla maglietta di del Piero): le qualità della sua ‘squadra’ pastorale ossia i sacerdoti.
I ‘MIEI’ PRETI. “Li apprezzo sinceramente, sono davvero bravi. Si tratta di un Presbiterio un po’ chiuso in se stesso, che si è trincerato anche rispetto ai movimenti post-sessantottini. Qui il clero ha saputo creare una trincea. Tutti s’impegnano con dedizione e generosità: un atteggiamento che mi edifica. Certo è radicato l’individualismo, difficoltà a mettersi in rete in comunione con gli altri. A ogni ritiro mensile, mangiamo sempre insieme. Vengono ogni mese, da ogni paese per il ritiro spirituale. Ogni anno, da dieci anni, andiamo in due turni da tre giorni: approfondiamo, ci confessiamo. Vivono questi giorni con il vescovo: io sono a loro servizio. Io mi spendo per i miei preti, non dico mai di no”.
I punti nodali del programma pastorale e come influiscono concretamente sullo sviluppo dei rapporti con i fedeli.
LE TRE “P”: PAROLA DI DIO, PREGHIERA E POVERI. PAROLA DÌ DIO. “La Centralità della parola è fondamentale. Siamo l’unica Diocesi in Italia, non so nel resto nel mondo, in cui il giovedì, non vi è messa, perché c’è la lectio biblica: meditazione e preghiera sul brano del Vangelo della domenica successiva; si spiega da un punto di vista esegetico. Papa Francesco è rimasto gioiosamente sorpreso di scelta coraggiosa; analogo stato d’animo ha manifestato Benedetto XVI. Scelta condivisa anche da Enzo Bose, fondatore della comunità monastica di Bose”.
Sua Eccellenza è dotato di un carisma percepibile. Ha la capacità di incidere sull’ascolto dell’interlocutore, introducendo dei ‘memorabili’ aneddoti che perfettamente attengono all’argomento trattato: a proposito della Parola di Dio e della sua preminenza. IL SOLIDEO. “Durante la mia ultima visita a Papa Francesco come da inveterata tradizione il cerimoniere pontificio ha ricordato a tutti i vescovi di sollevare dal capo il Solideo, in segno di saluto. Il solideo è lo zucchetto che indossano i vescovi: il suo nome deriva da Soli Deo tollitur (lo si toglie solo davanti a Dio); infatti per evidenziare l’importanza dell’eucaristia, il celebrante e concelebranti tolgono dal capo lo zucchetto prima del prefazio e per tutta la liturgia eucaristica. Io ho avvisato il cerimoniere che non era mia intenzione toglierlo dinanzi al Papa: non è una mancanza di rispetto ma non servono questi atti ossequiosi, di servilismo. La discussione si ‘accende’, il cerimoniere insiste ma io sono irremovibile. Nel frattempo Papa Francesco arriva e si accorge della discussione in corso e chiede se ci sia qualche problema. Io ho detto Padre Francesco, io non lo tolgo anche per un altro motivo, non ho la testa da Vescovo. Il mio solideo è fuori misura, anche il più piccolo a me sta enorme. Il Papa mi ha detto, fai bene e mi ha abbracciato calorosamente”.
LA PREGHIERA. “Sono convinto che la chiesa non sia un’associazione di beneficienza; la chiesa è un mistero, una comunità, un popolo che affonda le sue radici nel mistero della fede, ci vuole un rapporto profondo con il Signore. I fedeli non devono “sentire la messa”ma vi devono partecipare. La preghiera è lasciarsi accarezzare l’anima dal Signore, sentire i brividi nel rapporto con lui: bisogna educare la gente a pregare. La preghiera non è un mero rito devozionale, dire bla bla bla, è una consonanza del nostro cuore con il cuore di Dio, la preghiera come adorazione.
POVERI. “Voglio ricordare tutti i progetti della Caritas. Abbiamo attinto ai fondi Cei e coinvolto le amministrazioni; realizzato progetti per più di due milioni di euro. Creato quattordici cooperative di giovani. Mi piace citare le ricamatrici di Santa Caterina, i cui prodotti ho portato al Papa Francesco: tutto quello che serve per l’altare. Era confezionato in una busta di cotone in cui era ricamato il suo stemma. Il tutto adorna l’altare di Santa Marta in cui il Pontefice celebra la messa. Un cenno merita il Microcredito, anche per le famiglie; per le imprese con l’uno per cento d’interesse fino a 25.000 mila euro. La gente si accorge che le cose le fai concretamente”.
Attenti, immersi nell’ascolto e nella riflessione che spontanea nasce dai molti spunti offerti dallo spessore degli argomenti trattati, ci spingiamo un passo avanti; dalla religione all’etica. Caltanissetta la città della legalità.
LEGALITA’. “Prima non si parlava mai di legalità, il parlarne è importante. La gente familiarizza con certi concetti o valori. Ci sono però troppi sbandieratori; siamo in Sicilia, usiamo concetti e parole per coprire le magagne: ammantato di legalità, ognuno fa quella che vuole. Ho diffidenza verso i parlatori di legalità, preferisco quelli che si spendono con le opere”.
Mario Russotto, è lucido nella sua analisi, consapevole del suo tempo e di come si possa incidere nella vita dei fedeli, con quali modalità si possa innestare nella Chiesa energia nuova, positiva, catalizzante: “Non possiamo aspettare le persone, dobbiamo andarle a cercare. Tante volte noi uomini di chiesa abbiamo mostrato tutto tranne il Vangelo. Io amo questa città. Ho ampiamente dimostrato che non voglio andare da altre parti almeno che non sia il Signore a dirmelo. Per compiere la mia visita pastorale ho impiegato tre anni. Ho visitato tutte le parrocchie e ho dormito in ciascuna per una settimana. Ho portato la comunione a tutti gli ammalati della diocesi, oltre sei mila, sono entrato nelle case di tutti”.
Seguono alcuni minuti di silenzio, guardiamo Sua Eccellenza. Ci rendiamo conto del carico di responsabilità, di emergenze, di umanità dolente che deve portare e sopportare, un fardello immane che potrebbe schiacciare. La domanda è secca, pungente, quasi aspra: come riesce a vivere emozioni così profonde e invasive? “Perché non sono solo, sento davvero che la missione è di Dio che mi dà la forza di reggere. Sono cose di Dio che vanno riconsegnate a Dio. Due vasi comunicanti lui mi dà la sua forza ed io le mie debolezze. Questa è la bellezza e la ricchezza delle emozioni che mi fa’ vivere.
Amo questa gente alla follia, questa chiesa, questa diocesi, amo il Signore, mi sforzo di amarlo, per tutta la mia gente: 160mila abitanti nella nostra provincia, lo amo centosessantamila volte”.
Michele Spena – Donatello Polizzi