GELA – Lucia Lotti è il Procuratore Capo di Gela. Un magistrato che non si sente asserragliato in un fortino, la Procura di Gela, ma che anzi guarda con interesse a quello che accade nelle strade della città del golfo. In questa intervista, data in esclusiva al “Fatto Nisseno”, Lucia Lotti riconosce la funzione economica che il Polo Industriale continua ad onorare, nonostante la crisi imperante, e dà conto del ruolo assolto dalle associazioni antiracket e dalla società civile. Risposte ispirate dal pragmatismo di chi opera in un ambiente difficile, e suggerite da un certo ottimismo manifestato con la consapevolezza di chi conosce le prospettive di una terra che non ha mai issato bandiera bianca. E che in fondo non lo farà mai.
Procuratore Lucia Lotti, qualche mese addietro ha partecipato al forum delle imprese e delle professioni organizzato dall’associazione “daterreinmezzoalmare”, in cui gli attori e i relatori hanno immaginato, a partire dal presente, la città di Gela nel 2021. Quale futuro attende Gela per il capo della procura? quali presupposti per quale futuro…
Tentare una risposta a una domanda così impegnativa impone una premessa sul mio approccio al contesto gelese. Questa città ha una storia densa e pesante, col tempo tradotta nell’immagine di un barbaro girone infernale. Sospettando che questa immagine non restituisse la complessità e le sfaccettature del luogo, nella prospettiva del lavoro a Gela, ho evitato ogni indagine preliminare o voce che potesse generare pre-giudizi. Un solo, sufficiente, presupposto a base della scelta: Gela ed il suo circondario altro non erano se non parte del territorio dello Stato con un posto vacante di Procuratore della Repubblica.
Ed in effetti, occhi e mente sgombri da sovrastrutture valutative mi hanno aiutato a comporre l’analisi – mi auspico – in aderenza all’articolazione concreta ed attuale delle dinamiche socio-economiche, criminali e non.
Debbo aggiungere, sempre sul filo della premessa, che il lavorìo di comprensione del contesto è stato facilitato da tensioni positive che, pur sotto traccia, serpeggiano in città. Gela, nonostante le tante questioni ancora irrisolte, è comunicativa ed è percorsa incessantemente da uno spirito che, pur sovente misconosciuto, è aperto e vivace. Sta di fatto che, sia nell’ufficio giudiziario che nel contesto cittadino, è stato possibile stabilire da subito un rapporto diretto, fattivo, concreto, propositivo. E ci tengo a dire che lo stesso avviene per tutti i colleghi che giungono qui: test non è di poco conto, poichè negli ultimi tre anni ben sei magistrati si sono avvicendati in Procura.
Il prodotto dell’analisi sviluppata fino ad oggi e la relazione interattiva con il contesto hanno permesso di definire la conformazione sempre più variegata e duttile delle aree di illecito e rivelato una sempre maggiore affinità di queste con tipologie ovunque rintracciabili. In sintesi, balza oggi agli occhi ciò che, più che distinguere, assimila le dinamiche di Gela a quelle di tante altre realtà urbane, a nord come a sud.
Volendo ragionare in termini di chance per il futuro, si può partire da questo dato: quanto a patologie sociali la realtà di Gela oggi non soffre trend di decisa peculiarità.
E’ chiaro, da un lato, che sta dando i suoi frutti l’incessante attività di contrasto alla criminalità organizzata e, dall’altro, che il localismo segna il passo ovunque e a tutti i livelli, di fronte a sempre più massicce interazioni tra realtà territoriali, anche distanti tra loro. La concezione del luogo come entità predefinita, astratta e statica ha perso consistenza e non può essere valido punto di partenza metodologico ove si tratti di progettare il futuro. Piuttosto vale dipanare il coacervo dei punti di forza e dei nodi da sciogliere, definire dinamicamente e con decisione le carte che in concreto il territorio è – oggi – in grado di giocare.
La massiccia presenza industriale, con le sue luci e le sue ombre, è comunque oggettivamente un propulsore, ha prodotto know-how e necessariamente collega ad altri orizzonti. Alla pesantezza criminale della storia, Gela ha dimostrato di saper reagire. La collocazione geografica è strategica e tutt’altro che marginale, tanto più ove si prospetti il rafforzamento delle infrastrutture. Il parco di intelligenze giovanili è da fare invidia e vi è un bacino di energia sommersa che preme per vedere la luce.
Il polo industriale costituito dalla raffineria e dall’indotto ha visto progressivamente ridurre negli anni il numero degli occupati, ma è ancora oggi una realtà importante del contesto gelese e lo sarà nel prossimo futuro, avendo evidentemente il sito una sua ragion d’essere sotto il profilo strategico-economico. E’ un epicentro con cui la città deve continuare a fare i conti quotidianamente e quando pensa al proprio destino. Il tema è di grande complessità e richiederebbe ben altro spazio. Uno spunto di riflessione vorrei però lanciarlo: l’esigenza di strutturare il rapporto tra città e raffineria in forme quanto più possibile evolute e lineari. I guasti socio-economici e ambientali che possono derivare da processi industriali non pilotati nelle forme più adeguate ed una visione passiva e statica da parte del contesto in cui si inseriscono sono oramai – nel mondo – sotto gli occhi di tutti. Ma oggi vi sono tutti gli strumenti, culturali e tecnologici, per governare altrimenti tali processi ad opera di tutti i protagonisti in campo. Sembra così ineludibile porre la questione del superamento della logica – sottaciuta, ma ancora pressante – della dipendenza della sopravvivenza della città dallo ‘stabilimento’. Il contesto cittadino può esprimere, come attore e artefice del rapporto, in virtù dell’esperienza incamerata, non poche potenzialità e passare da una posizione (passiva) di fruitore-vittima ad una posizione (imprenditoriale) in grado di investire e fornire in modo qualificato e moderno prestazioni competitive nei confronti non solo del suo epicentro produttivo, ma anche di altre realtà. Al polo industriale il compito di concretizzare forme d’impresa evolute, efficienti e responsabili verso un territorio che davvero molto ha dato.
Il fermento su questi temi c’è ed è auspicabile che faccia da traino a strategie e progettualità concrete, anche nella prospettiva – appunto – della diversificazione degli investimenti sul territorio e del recupero di tante possibilità in settori sinora troppo poco considerati.
Ha definito i luoghi comuni su Gela, la criminalità, l’irredimibilità, come un muro di cui prendere atto come una gabbia e andare oltre, magari scavalcandolo. Dove inizia il luogo comune, ad esempio parlando della diffusione della criminalità e dove il riscatto da questa immagine?
I luoghi comuni sono trappole che offendono l’intelligenza e frenano processi costruttivi. Quelli che riguardano Gela spero siano sul viale del tramonto; oramai stridono con gli effetti positivi del lavoro che società civile e istituzioni hanno fatto negli anni nel contrasto alle varie forme di illegalità. Il cliché produce danni molto seri, non solo culturali: taglia alla radice lo sviluppo dell’analisi e, conseguentemente, la progettualità seria. Ed inoltre perpetua alibi per tutti coloro che non hanno né l’interesse, né la volontà di leggere e governare la realtà per quello che è, con i pro e i contro, ed a trattarla quindi con lungimiranza, coraggio e responsabilità nelle scelte. Il luogo comune, in sintesi, è la più solida base delle non-scelte e, dunque, dell’inevitabile declino di positività e prospettive. Il danno è incalcolabile.
Dunque non ci si può attardare su parole vuote. Ed i gelesi per primi debbono definitivamente uscire da questa trappola, declinando senza titubanze gli spunti che il dibattito attuale propone in proposizioni concrete e soluzioni operative, senza perdere occasione alcuna.
L’immagine va rovesciata, partendo da nuovi e concreti punti di vista, con la forza della storia e dell’esperienza maturata. Il territorio, già preda di plurime scorrerie, va risanato ed occupato stabilmente con nuove forme: urbane, socio-economiche, culturali e comportamentali.
E non è certo solo una questione di immagine, giacchè solo tale prospettiva può arginare i pericoli della devianza che alligna nel disagio sociale e nella povertà di fasce di popolazione e può contrastare il possibile ricrearsi di dinamiche criminali ricalcanti un passato ancora troppo recente. Passato che, pur in presenza della sostanziale destrutturazione delle organizzazioni criminali di natura mafiosa per effetto della sistematica azione di contrasto e della crescita complessiva del tessuto civile, ancora produce effetti, con una scia di forme di illecito diffuse, pericolose e di forte allarme sociale. Il coinvolgimento dell’area giovanile desta preoccupazione e non basta lo sforzo giudiziario e delle forze dell’ordine: si impone una crescita complessiva.
I fenomeni delinquenziali, di qualsiasi natura, sono in buona parte aggredibili, ma i risultati diventano realmente solidi quando il contesto sociale – ed in primo luogo l’amministrazione pubblica – danno prova di sapersi muovere in sintonia con questa prospettiva e traducono in fatti il valore dell’agire legale, trasformano la capacità di rifuggire da comportamenti deviati e devianti in vera e propria risorsa, valore aggiunto del territorio, premessa per sviluppare ed attrarre investimenti e, con essi, lavoro ed opportunità.
L’azione di alcune forze politiche, in campo per la legalità e contro il racket, è servita da volano per la società civile e l’impresa oppure è stato il contrario? la lotta antiracket è della politica o della società civile?
Il ruolo dell’associazionismo antiracket e di tanti momenti di confronto sul tema è stato ed è importante. Non è pensabile che i processi di cambiamento passino per la sola via giudiziaria. Concepire e vivere l’agire quotidiano nella propria realtà socio-economica e civile ritenendo le varie forme di sopraffazione e coartazione un elemento di inaccettabile pregiudizio segna un mutamento che tocca le radici e, dinamicamente, i processi razionali e psicologici di ogni passaggio decisionale.
Si tratta di un mutamento che segna il recupero della dimensione del cittadino portatore di diritti civili e sociali, di legittime aspettative, di un cittadino libero di intraprendere le proprie iniziative economiche. E’ il dogma dell’immodificabilità di certi schemi comportamentali e sociali che deve essere definitivamente abbandonato in contesti permeati da pervasive presenze criminali.
Ed è un passaggio la cui responsabilità non può essere affidata al solo coraggio del singolo. La singolarità della reazione inevitabilmente espone, laddove i processi collettivi, sulla base della garanzia data dal scrupolo doveroso e dall’efficienza degli accertamenti giudiziari, rafforzano il singolo, infondono fiducia ed al contempo divengono un potente propulsore per sedimentare lo stabile rifiuto di ogni forma di relazione con le dinamiche criminali illegali.
Questa esperienza a Gela è oramai storia, fa parte del tessuto cittadino e lo ha reso paradigmatico. Così come è un fatto di positiva, determinante influenza il parallelo mutamento di rotta – di portata storica – avvenuto nel distretto ad opera di Confindustria nissena. Anche qui un processo non indolore, ma collettivo e trainante.
Altrettanto evidente che il lavoro da compiere da ora in avanti è forse ancor più arduo. Smantellato gran parte del potenziale operativo delle aggregazioni criminali che per anni hanno vessato il territorio, adesso si tratta non solo di contrastare ogni perdurante forma più o meno tradizionale di malaffare, per evitare il ricrearsi di inquinamenti sistematici e garantire la sicurezza della popolazione, ma di declinare la capacità di aggregazione e di contrasto in vera e propria risorsa del territorio. E’ indispensabile, va ribadito ancora una volta, andare oltre il lodevole contrasto della illegalità e il sostegno alle vittime. La nuova dimensione sociale e culturale che si è prodotta deve produrre capacità della comunità e delle sue espressioni amministrative, politiche, istituzionali ed economiche di agire con rigore ed efficienza, di assumersi la responsabilità di scelte all’altezza dei tempi e della propria storia.
In tema di “servizio giustizia”, come lo ha definito, lei ha auspicato che il Palazzo di Giustizia sia visto come la casa comune degli interessi di tutti gli attori sociali. Sempre che abbia interpretato bene, ci spieghi cosa intendeva con questo concetto.
L’attività giudiziaria è un servizio per la cittadinanza a tutela di beni giuridici violati, individuali o collettivi. Si tratta di una funzione necessariamente interattiva, mai neutra quando ad effetti prodotti e perciò densa di responsabilità. L’incisività e la prontezza degli interventi, il grado di rispondenza alle più pressanti esigenze hanno molte implicazioni e possono connotare più o meno positivamente un certo ambito. All’ufficio giudiziario e alla Procura della Repubblica in primo luogo è oggi richiesto di analizzare attentamente il territorio e le sue dinamiche, di concretizzare strategie efficaci nei diversi settori di illecito, di strutturate l’organizzazione dell’ufficio in modo funzionale rispetto agli obbiettivi che si intendono raggiungere, di presentare agli utenti il proprio bilancio sociale.
I risultati dell’attività svolta entrano dunque nel patrimonio della collettività in cui si collocano e le conoscenze incamerate possono contribuire a far meglio conoscere caratteri, potenzialità e rischi di un determinato contesto.
Il momento giudiziario, ove si guardino tali aspetti, può divenire così una componente positiva nel momento in cui il territorio viene valutato nella prospettiva dello sviluppo imprenditoriale. In poche parole, avere Tribunali e Procure che funzionano significa non solo la tutela effettiva dei singoli diritti, ma rendere il territorio stesso, nel suo complesso, maggiormente sicuro e concretamente più attraente per investimenti che siano nel segno della correttezza e della liceità.
Torniamo per le strade di Gela. Quando la società civile, nella sua capacità di analisi e confronto dialettico, è avanti alla politica, generalmente significa che c’è un gran fervore culturale e sociale. C’è davvero questo fossato tra società e politica a Gela?
Alla politica, in un contesto come quello di cui abbiamo parlato, spetta un compito arduo: rispondere con scelte concrete e coraggiose ad aspettative pressanti di un territorio percorso, accanto ai problemi, da intelligenze ed energie difficilmente eguagliabili. Non è semplice, ma è davvero auspicabile che la sfida venga raccolta.
Intervista pubblicata sul mensile “il Fatto Nisseno” di Giugno 2011