CALTANISSETTA – Due giornate di studio nel nome del giudice Gaetano Costa, alle quali hanno partecipato magistrati, giornalisti, professionisti, rappresentanti delle istituzioni, per un momento di riflessione su un periodo molto difficile per la Sicilia come quello delle grandi inchieste sulla mafia tra il 1970 e il 1980 e le stragi che a quelle coraggiose attività di inchiesta seguirono. “Abbiamo dedicato al giudice Costa, ucciso dalla mafia nel 1980, un ciclo di lezioni nelle nostre classi – dice Maria Luisa Sedita, dirigente scolastico del liceo classico e linguistico “Ruggero Settimo” – e queste due giornate di seminario su un periodo particolarmente critico della nostra storia devono costituire un nuovo stimolo per noi e per i giovani, per comprendere il significato forte del senso del dovere e dello Stato, in questo momento non chiaro a tanti, e il ruolo della magistratura. Vogliamo così restituire a questa città senza memoria la storia dimenticata, con l’impegno di tutti quelli che ritengono che bisogna difendere sempre le istituzioni, al di sopra di tutto”.
“L’impegno del giudice Gaetano Costa per la legalità e la giustizia nella Sicilia della seconda metà del ‘900” è il tema del seminario, promosso dal liceo classico Settimo nell’ambito del progetto di educazione alla cittadinanza “Le(g)ali al Sud”, inserito nel Pon 2007-2013, aperto ieri dalla prima sessione dei lavori, alla quale hanno preso parte il presidente della Sezione civile del Tribunale di Caltanissetta Antonino Porracciolo, il giornalista Massimo Bordin, già direttore di Radio Radicale, il procuratore generale della Repubblica di Caltanissetta Roberto Scarpinato. “Oggi – dice il procuratore Scarpinato – sono cambiate molte cose: Costa, Chinnici erano uomini soli all’interno dei palazzi di giustizia e della società civile, e infatti ai funerali del giudice Gaetano Costa la società civile non c’era. Però hanno rotto un muro, provocando una rivoluzione all’interno di un palazzo che era completamente diverso da oggi: c’erano magistrati allora che frequentavano anche politici compromessi con la mafia e Chinnici e Costa dovevano superare lo stato di isolamento al quale erano condannati dal sistema di potere della Sicilia degli anni ’80 ma anche i ritardi culturali e la prudenza di una magistratura che non appariva ancora preparata ad affrontare il fenomeno mafioso. Tutti i processi si risolvevano con l’insufficienza di prove. Il giudice Costa capì che la mafia non era solo quella militare e popolare e che il vero cuore stava all’interno di alcuni settori della classe dirigente, da Lima a Ciancimino ai Salvo. Ma ebbe anche un ruolo di apripista per le strade su cui poi si incamminarono Falcone e Borsellino, questa volta non più soli nella società, che aveva bisogno di uno Stato dal volto credibile”. Ma il procuratore mette in guardia anche sul rischio di una regressione di questo sentimento forte di sostegno alla legalità. “I giornali – dice – continuano ad alimentare nell’immaginario collettivo l’idea che la mafia sia solo bassa macelleria criminale mentre in realtà questa, come documentato, si è trasformata in “borghesia mafiosa. Si stanno poi facendo passi indietro sulla percezione di determinate situazioni: se prima il politico che voleva avere contatti con il mafioso doveva farlo di nascosto oggi accade quello che era impensabile prima e cioé che un politico condannato per mafia venga addirittura eletto in Parlamento”.
Ad aprire la prima sessione delle due giornate di studio, alla presenza del prefetto Umberto Guidato e di numerosi rappresentanti delle forze dell’ordine, è stato il saluto della dirigente scolastica Sedita e del dirigente dell’Usp Antonio Gruttadauria (“ringrazio i docenti che tengono alto il nome e l’onore della scuola pubblica italiana, inculcando nei ragazzi soprattutto i valori della Costituzione”, ha detto).
Avviati gli interventi con le relazioni del giudice Porracciolo, che ha ricostruito il concatenarsi di eventi che portarono alla terribile sequenza di omicidi (ad opera della mafia ma non solo) partita nel 1980 con l’uccisione di Piersanti Mattarella, di Pio La Torre, di Vittorio Bachelet, di Walter Tobagi, del giudice Mario Amato e poi le stragi, dal disastro aereo di Ustica (rimasto senza colpevoli) all’attentato alla stazione di Bologna ad opera del terrorismo di destra. La mafia che uccide Costa, Terranova, Mattarella, Dalla Chiesa – ha detto il giornalista Massimo Bordin – era molto più arrogante di quanto sia oggi. Certo, passa troppo tempo dal momento in cui inizia la sequenza di omicidi di uomini con cariche istituzionali al momento in cui il legislatore prende consapevolezza che il problema non può più essere confinato in ambito regionale. Non dimentichiamo che i provvedimenti del governo arrivarono solo dopo l’omicidio del generale Dalla Chiesa mentre l’uccisione di La Torre fu considerato di estrema gravità, secondo solo all’omicidio Matteotti. Lo Stato reagì, si, ma con una logica di routine. Oggi credo ci siano più anticorpi e strumenti per difendere la società”.
Ottima la performance “Gaetano Costa: memoria di una storia dimenticata”, realizzata dopo un accurato studio di documenti e fonti letterarie, dalle memorie di Rita Bartoli Costa agli atti della Commissione parlamentare antimafia agli atti dei processi per l’omicidio del giudice Costa, passando attraverso le pagine di rigorosi intellettuali quali Brancati, Sciascia, Farinella.
A proporre la piéce gli alunni Andrea Zimarmani, Valerio Russo, Michele Dell’Aira, Virginia Fiandaca, Massimiliano Russo, Marco Iacona, Emanuele Macaluso, Carlo Giammusso, Marco Messina, Luca Ciancio, Marco Di Benedetto, Simone Averna, Francesco Dimarco, Guido Giancani, Mariangela Greco, Carlo Licata, Riccardo Palmeri, coordinati dalle insegnanti Angela Baiomazzola, Fiorella Falci, Marcella Montoro, per la regia di Antonio Venturino. Contributo video di Francesco Leo.
Questa mattina la seconda sessione dei lavori prevede gli interventi dell’assessore regionale Caterina Chinnici, figlia del giudice Rocco Chinnici e magistrato, dell’avvocato Michele Costa, figlio del giudice Costa e coordinatore della Fondazione “G. Costa” di Palermo, del giudice Gianbattista Tona, presidente della sezione provinciale dell’Anm.